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Antonio Latella smonta Arlecchino, scava nel fondo della maschera più famosa della commedia dell’arte e ne tira fuori il lato oscuro, per mostrare le ambiguità e le menzogne che porta dietro di sé. Almeno questo è l’obiettivo dichiarato del suo “Il servitore dei due padroni”, il classico di Goldoni riscritto con la complicità nella drammaturgia di Ken Ponzio, in scena al Teatro Bellini di Napoli fino al 23 febbraio 2014. “Sono entrato nel lato oscuro, buio del testo di Goldoni – spiega Latella nelle note di regia- Il quale comincia dicendo subito che c’ è una ragazza strana, Beatrice, che si veste in pantaloni e ama suo fratello Ecco, io sono partito da lì, da questa storia piena di ambiguità di genere riscrivendo l’originale di Goldoni insieme a Ken Ponzio, un drammaturgo che ha la mia età, ex-attore che sa come usare le parole, perché per attraversare l’anima nera di Goldoni ci vuole una lingua senza fiocchi”. Si parte da un amore incestuoso, dunque, per questa operazione teatrale assai ardita che, di sicuro, non è di facile comprensione per il pubblico sottoposto a una tirata di due ore e un quarto senza intervallo.
La commedia si svolge nella hall di un albergo anni ’50, gestito da Brighella- ruolo che aveva nella commedia di Goldolni- e dalle porte sbucano uno dopo l’altro i personaggi vestiti in modo contemporaneo. Niente maschere o costumi tradizionali neanche per Arlecchino, che qui si chiama Truffaldino e indossa un abito bianco. Quanto più bianco il suo vestito, tanto più oscure le trame, le ambiguità e le menzogne degli altri personaggi coinvolti a costruire una girandola di amori promessi (come il matrimonio annunciato di Clarice, figlia di Pantalone, che dovrebbe andare in sposa a Federico Rasponi), amori desiderati (Clarice è assai più interessata a Silvio figlio del dottor Lombardi che anela alle grazie della fanciulla), amore gay e lesbo (il Federico Rasponi creduto morto si riaffaccia sulla scena ma è solo sua sorella travestita che, però, riesce a sedurre la promessa sposa). Il tentativo di riscrivere la commedia ha trovate interessanti, come il nome del protagonista che diventa Arlecchi-NO a voler segnare la sua ambiguità e attitudine alla menzogna oppure come la voce narrante Brighella che cadenza le note di regia di Goldoni, ma non sempre è riuscito. Ridondanze, gesti ripetuti ossessivamente, monologhi incomprensibili che nulla aggiungono allo svolgimento della narrazione, musica e luci sparate sul pubblico non aiutano. Lo spettacolo termina con la scena distrutta dagli artisti. Metafora del teatro che arriva alla sua essenza? Di certo l’essenza della commedia di Goldoni difficilmente è stata colta da questa messa in scena.
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