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Il mare non bagna Napoli: da lunedì 9 a giovedì 12 dicembre al Ridotto del Mercadante andrà in scena l’ultimo “capitolo” del progetto nato dal libro omonimo di Annamaria Ortese. E’ “Il silenzio della ragione”, per la regia di Linda Dalisi e interpretato da Michelangelo Dalisi, Lino Musella, Fabrizia Sacchi, Francesca De Nicolais.
Con le rappresentazioni de Il silenzio della ragione al Ridotto del Mercadante da lunedì 9 a giovedì 12 dicembre si conclude il ciclo di allestimenti del progetto Il mare non bagna Napoli, dal libro omonimo di Anna Maria Ortese, a cura di Luca De Fusco prodotto dal Teatro Stabile di Napoli.
Ultimo dei cinque della raccolta, il racconto Il silenzio della ragione provocò la dura reazione da parte degli intellettuali partenopei dell’epoca, rei, per l’autrice, di aver “tradito” i valori e gli ideali coltivati negli anni precedenti la guerra, all’ombra dei quali aveva nutrito la sua ispirazione di scrittrice. L’accoglienza che la comunità intellettuale e politica della città riservò al libro, accusandolo di anti-napoletanità, segnò l’allontanamento definitivo della scrittrice da Napoli.
Linda Dalisi – che firma la drammaturgia e la regia dello spettacolo – affida questo “viaggio sognante” lungo “le cose amate” della Ortese, all’interpretazione degli attori Michelangelo Dalisi, Lino Musella, Fabrizia Sacchi, Francesca De Nicolais. I costumi sono di Zaira de Vincentiis, il disegno luci di Gigi Saccomandi.
Ecco come la regista Linda Dalisi presenta lo spettacolo: «Io me ne vado per sempre da questa città ove il mare è scomparso recita un verso di una poesia di Gianni Scognamiglio, uno degli intellettuali napoletani nominati da Anna Maria Ortese ne “Il silenzio della ragione”: sulla scia di questa scomparsa, la scrittrice muove i passi di un suo ritorno a Napoli, città che aveva visto, prima della guerra, la sua giovinezza, la sua formazione e lo sbocciare della sua vocazione di scrittrice. Quello che la Ortese fa attraverso la città, le persone, la memoria, la realtà, è un viaggio sognante in cui resta costantemente assorta e vigile. L’osservazione dei dettagli nelle persone, come negli angoli più reconditi del presente (o del passato), è sempre ossessivamente alla ricerca del doppio che c’è dietro ogni prima immediata, oggettiva, impressione. Così nell’intellettuale di prima della guerra, giovane romantico e animato dallo spirito rivoluzionario di chi sogna di cambiare il mondo, divenuto inquadrato nel sistema e ufficialmente riconosciuto, ella legge la morte stessa di quello spirito rivoluzionario. Così come nell’antichità legge, viva (e morta insieme), la giovinezza di un tempo. Questo viaggio attraverso le cose amate è doloroso e per questo lo sguardo della scrittrice è spietato. Come in un risveglio kafkiano, attraverso la metamorfosi immobile del passato e del relativo presente, l’insopportabilità del reale diventa contatto tangibile con la realtà. Sulla scena le parole della Ortese, come pronunciate da una “zingara assorta in un sogno” (come la definì Vittorini), si fanno corpo di viaggiatore che incontra gli spiriti incarnati di quella insopportabilità, affrontati sul terreno di un mondo sconosciuto, come attraverso un quadro di Goya, un libro di Verne, o un racconto di Kafka».
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