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TEATRO BELLINI – TEATRO STABILE DI NAPOLI

presenta

ODISSE’ – In assenza del padre

un progetto di Gabriele Russo

Collaboratore alla regia Marco Manchisi

Allestimento scenico Francesco Esposito

Costumi Chiara Aversano

Disegno Luci Salvatore Palladino

Movimenti Coreografici Eugenio Dura

regia Gabriele Russo

con in o.a

Diletta Acquaviva,Claudio Javier Benegas, Viviana Cangiano, Roberto Capasso,

Marco Mario De Notaris, Adriano Falivene, Annarita Ferraro, Stefano Ferraro, Giuseppe Fiscariello,Martina Galletta, Serena Mattace, Gioia Miale, Marco Palvetti, Elena Pasqualoni, Danilo Rovani, Lorenza Sorino, Luca Varone

e con

Pippo Cangiano

Un luogo metafisico, uno spazio distrutto, un muro dietro il quale non si sa bene cosa ci sia, un gruppo di persone bruciate dal tempo, disorientate dalla società in cui vivono e che essi stessi costituiscono, un guardiano che li osserva e guida, che è coscienza e specchio delle anime catapultate in questo spazio: questa l’ambientazione, l’humus, le fondamenta su cui è stato costruito questo progetto, un progetto in itinere ed il cui lavoro di prove e ricerca, a differenza che in altri lavori, potrebbe non finire mai, poiché la relazione fra la vita e questo spettacolo ha una sua potenza così autonoma che sfugge di continuo ad un controllo razionale della forma; essendo in continua evoluzione, sembra di essere in un spazio in cui non si trova mai una fine.

Queste le premesse su cui si poggia il flebile parallelo con l’Odissea, ed in particolare con la storia di Telemaco, figlio di Ulisse, che qui diventa metafora di una generazione, quella contemporanea, priva di punti di riferimento, di padri, come di maestri. Quella di Telemaco è una ricerca che non troverà mai un punto d’arrivo, non per questo vana, anzi necessaria più che mai, l’unico modo per dare un senso a se stesso e ad un mondo ferito ed agonizzante, ad un’esistenza sempre più sospesa fra il reale ed il virtuale.

Telemaco cerca un padre che crede un eroe, finirà per trovare se stesso?

L’ importante è che cerchi qualcosa, che non si fermi, che non si fermi mai.

Quando questo non accade, si diventa passivi, schiavi di tutto ciò che ci circonda. Ed ecco che mentre Telemaco prova ad inventarsi un eroe per reagire ai soprusi del potere, così gli altri, anche nei momenti in cui subiscono le peggiori vessazioni, sono pronti a dimenticare di fronte ad una qualsiasi distrazione mandata “dall’alto”.

Nello stesso tempo, invertendo le parti, il risultato non cambia.

Telemaco per diventare uomo dovrà compiere lo stesso viaggio percorso dal padre, e lo farà in sogno, nella fase più onirica dello spettacolo, attraversando, talvolta in prima persona talvolta nei panni del padre, le avventure di Ulisse. In questa fase i riferimenti ai personaggi dell’Odissea sono attraversati ed allo stesso tempo traditi. C’è una eco che ci porta al poema omerico, ma non una rappresentazione dello stesso. In questa mia personalissima versione Penelope è una donna qualunque tradita da un uomo come tanti, una donna che rimasta sola cresce il figlio parlandogli del padre come di un eroe.

Ma lo è davvero? Sono davvero eroi i padri di questa generazione?

Ci troviamo in un luogo di domande e non di risposte, di smarrimento e non di certezze, di sguardi persi nel vuoto, di figli che cercano padri, di cittadini che cercano punti di riferimento, di persone che corrono senza sapere nemmeno il perché.

Odissè, non vuole essere uno spettacolo che fornisce risposte, ma un “frullatore” di domande.

Gabriele Russo