Di: Sergio Palumbo

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Il Teatro di San Carlo ripropone, a otto anni di distanza, l’allestimento de La fanciulla del West firmato da Hugo De Ana, uno spettacolo di forte impatto visivo che conferma la capacità del regista argentino di creare un universo estetico coerente, spettacolare e drammaticamente pregnante. L’opera, che debutta nel 1910 al Metropolitan di New York sotto la bacchetta di Toscanini, è forse la meno italiana delle partiture pucciniane: un melodramma dai marcati tratti sinfonici, ricco di atmosfere cinematografiche e con una scrittura orchestrale che guarda a Wagner e a Debussy più che al verismo.

Hugo De Ana, che cura regia, scene e costumi, sfrutta con maestria elementi mobili, videoproiezioni e giochi di luce per costruire uno spazio scenico che evoca i western classici americani – canyon infuocati, saloon in legno, cieli notturni dalle sfumature polverose – ma lo fa con un gusto per l’iconografia che non scade mai nel citazionismo banale. Le proiezioni e i fondali amplificano il senso di isolamento e di tensione che permea la narrazione, mentre i costumi, tra l’epico e il folclorico, aggiungono coerenza cromatica e narrativa. Le scenografie monumentali e i costumi dettagliati trasportano lo spettatore in un West immaginario, evocando atmosfere da graphic novel e richiami al cinema di Sergio Leone. Anche nelle scelte registiche De Ana conferma la sua visione cinematografica dell’opera. Tuttavia, come già notato nella produzione del 2017, la grande forza visiva dell’allestimento tende talvolta a mettere in secondo piano la componente attoriale, con i personaggi che si muovono in uno spazio scenico ricco e suggestivo, ma non sempre perfettamente integrato sul piano emotivo.

Dal punto di vista musicale, la direzione di Jonathan Darlington non ha pienamente convinto. Se l’Orchestra del San Carlo si è dimostrata, come sempre, all’altezza della scrittura pucciniana, la concertazione è apparsa spesso anodina e poco reattiva nei cambi di clima. La partitura pucciniana, ricca di colori orchestrali, dinamiche emozionali e un tessuto sinfonico di rara densità, avrebbe meritato una lettura più incisiva e sfumata. La tensione drammatica non è sempre risultata sostenuta, e l’equilibrio tra buca e palcoscenico è apparso più volte precario, penalizzando soprattutto i momenti in cui la voce avrebbe dovuto emergere con forza e chiarezza.

Nel ruolo di Minnie, Anna Pirozzi ha saputo conquistare il pubblico con una voce che coniuga potenza ed espressività, specie nei momenti più impervi del secondo atto. La sua Minnie è una figura fiera e vulnerabile, madre simbolica di un’umanità maschile rozza e disperata, capace di un’umanità semplice ma disarmante. Martin Muehle ha offerto un Dick Johnson appassionato, vocalmente solido, anche se talvolta forzato nei passaggi più lirici. Manca forse un po’ di tenerezza nel fraseggio, ma la resa scenica è efficace. Gabriele Viviani, Jack Rance, è stato tra i più convincenti: una vocalità compatta, autorevole, al servizio di un personaggio reso con intensità e intelligenza.

Nel resto del cast si fanno notare Leon Kim (Sonora), per la sua vocalità energica e ben timbrata, e Alberto Robert (Nick), vivace e scenicamente efficace. Il Coro, guidato con precisione da Fabrizio Cassi, ha sostenuto con solidità le scene d’insieme, contribuendo a costruire quell’atmosfera collettiva e rituale che attraversa l’opera, tra epopea di frontiera e tensione drammatica.

La Fanciulla del West sarà in scena al Teatro San Carlo di Napoli fino al 29 aprile 2025.

Link: il sito del Teatro San Carlo di Napoli – www.teatrosancarlo.it