Di: Sergio Palumbo

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La passione civile di Andrea Camilleri non è certo ignota ai suoi lettori, anche quelli che si sono limitati alla serie dei suoi romanzi più famosi. Chi ignora l’insofferenza del suo Montalbano, uomo della legge, verso certe storture sostanzialmente discriminatorie o l’applicazione ottusamente burocratica delle legge stessa? Ma nel romanzo “La setta degli angeli” quella passione si incarna in modo più esplicito in un personaggio realmente esistito, la cui vicenda, sia pur qui romanzata, è storicamente documentata: Matteo Teresi, l’avvocato dei poveri, giornalista senza peli sulla lingua e perciò ferocemente inviso alle caste dominanti. Nel 1901 la società siciliana è sostanzialmente ancora quella preunitaria, quella del “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa: una nobiltà ignorante e puntigliosa, un clero pervicacemente attaccato ai suoi privilegi e pronto a sfruttare la superstiziosa ignoranza del gregge, una borghesia avida e timorosa e su tutti il potere misterioso e terribile della mafia. Nel paesino di Palizzolo, col suo rissoso circolo dei notabili e le sue otto chiese (sette per i popoli e una per il popolino!), le distinzioni sociali sono rigidamente marcate, quindi è ovvio che susciti un putiferio uno strano e inspiegabile avvenimento: alcune giovanissime fanciulle restano incinte nel medesimo tempo e non sanno o non vogliono rivelare l’autore del misfatto. Qualcuna, alla disperata insistenza dei parenti, furibondi per l’onta subita, addossano con convinzione la causa del loro stato nientemeno che allo Spirito Santo. Lo scombussolamento in paese è tale che, per un malinteso, si diffonde addirittura la falsa notizia di una epidemia di colera che fa scappare tutti, convinti poi a tornare più dalle minacce dei carabinieri che dal chiarirsi dell’equivoco.

L’ironia mordace di Camilleri è impagabile nella descrizione del frenetico balletto dei “qui pro quo”, delle allusioni maligne, delle faide da cortile. Ma in tanto scompiglio c’è una persona che, indotto a occuparsi della curiosa vicenda da una serie di circostanze, subodora la sconcertante verità e riesce a procurarsene le prove con l’aiuto di un onesto e intelligente servitore dello Stato. Ma il vento presto girerà…

Se l’argomento è drammatico, la penna di Camilleri è sempre leggera e nel dramma scopre la farsa, il tragicomico: l’albagia ridicola dei potenti, l’ipocrisia verbosa dei preti pronti a coprire le loro malefatte con la croce brandita come arma di vendetta, l’opportunismo balordo dei tanti disposti per denaro a dimenticare torti e vergogne. Il romanzo, godibilissimo, mentre fa sorridere o ridere di gusto, lascia poi quel retrogusto amaro che è tipico della satira quando è ben riuscita e sa cogliere nel segno, come accade in genere alla scrittura di Camilleri.

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