Di: Redazione
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Martedì 21 dicembre 2010, Teatro Elicantropo di Napoli
Sospiro d’Anima (la storia di Rosa) di Aida Talliente
L’artista friuliana porta in scena un delicato e intenso allestimento dedicato a Rosa Cantoni, spettacolo già vincitore del Premio Ermocolle 2010
Martedì 21 e mercoledì 22 dicembre 2010 alle ore 21.00, al Teatro Elicantropo di Napoli sarà in scena Sospiro d’Anima (la storia di Rosa) uno spettacolo di e con Aida Talliente, concepito dopo un lungo e intenso periodo di incontri con Rosa Cantoni, una delle più anziane partigiane della città di Udine, nata nel 1913.
Durante la seconda guerra mondiale Rosa Cantoni è stata protagonista nella lotta della Resistenza e poi deportata al campo di sterminio di Ravensbruk nel ’45. Ascoltando le sue parole e le sue testimonianze, si diventa silenziosi spettatori di tutto ciò che si è consumato nel corso del tormentato ‘900.
Ci si muove in mezzo a volti, vicende e luoghi, in mezzo a continue guerre, scoperte, invenzioni straordinarie e orrori. E’ proprio ascoltando la narrazione di questa donna semplice e allo stesso tempo straordinaria, che si riscopre l’importanza di sapere ciò che è accaduto prima di noi.
“Mi è capitato – spiega Aida Talliente – d’incontrare per la prima volta Rosa il 25 aprile di due anni fa, quando l’ho sentita parlare e raccontare la sua storia. Certamente una storia non comune, che abbraccia buona parte del secolo scorso. Penso che conoscere il passato e le “storie” di uomini e donne che ci hanno preceduto, ci fornisca uno strumento in più per comprendere il periodo buio che sta attraversando l’umanità”.
In scena un cerchio di pietre illuminato da piccoli lumi, un albero bianco e scarno, scatole, cassetti, vecchi oggetti accatastati, su cui siede una donna “anziana”. Appena fuori dal cerchio, un ragazzo, forse un “angelo”, suona una fisarmonica.
La donna si muove in questo luogo fatto di poveri oggetti, raccontando la sua storia. Lo fa come fosse un saluto, l’ultimo saluto prima di “andarsene”. Nel corso del racconto, il piccolo cerchio di pietre diventa un luogo di passaggio tra la vita e la morte, diventa una “mappa della memoria”, su cui lei lascia le proprie orme, le proprie tracce.
La musica la accompagna. Una musica che diventa anche il canto di un’anima piena di cose.
Così inizia questo breve viaggio dedicato a Rosa Cantoni, Rosina per chi l’ha amata, o “Giulia” per chi l’ha conosciuta come protagonista della Resistenza friulana.
Lo spettacolo è un attraversamento lento e discreto dei suoi ricordi, delle sue vecchie fotografie e delle sue poesie. E’ il racconto prezioso di una vita straordinaria, vissuta con forza, coraggio e soprattutto amore: amore per la vita, per il mondo, per le future generazioni, cui Rosina sempre ha parlato.
“Così desidero ricordarla – conclude la regista – tenendola viva e più presente che mai nella mia storia e nella storia dei nostri giorni, purtroppo destinati a perdere tutte quelle voci che in passato hanno tanto lottato per cambiare il mondo”.
Sospiro d’Anima (la storia di Rosa), di Aida Talliente
Napoli, Teatro Elicantropo – martedì 21 e mercoledì 22 dicembre 2010
Inizio delle rappresentazioni ore 21.00
Info e prenotazioni al numero 081296640 email teatroelicantropo@iol.it
Martedì 21 e mercoledì 22 dicembre 2010
Napoli, Teatro Elicantropo
Sospiro d’Anima
(la storia di Rosa)
regia e drammaturgia Aida Talliente
musiche in scena interpretate da David Cej (alla fisarmonica)
musiche
“Suspir da l’anime” e “Giovinezza” di Marcello Manni e Giuseppe Blanc
“Valzer del filare” di Daniele Mutino
“Danza Ungherese” di Brahms
“Lazi lazi vere” di Mostar sevdah reunion
produzione Aida Talliente
distribuzione Teatro Club Udine
durata della rappresentazione 60’ circa, senza intervallo
Lo spettacolo nasce dopo un lungo ed intenso periodo di incontri con Rosa Cantoni, una delle più anziane partigiane della città di Udine, nata nel 1913. Mi è capitato di incontrare per la prima volta Rosa il 25 aprile di due anni fa, quando l’ho sentita parlare e raccontare la sua storia. Certamente una storia non comune, che abbraccia buona parte del secolo scorso. Ascoltando le sue parole si diventa silenziosi spettatori di tutto ciò che si è consumato nel corso del tormentato ‘900. Ci si muove in mezzo a volti, vicende e luoghi, in mezzo a continue guerre, scoperte, invenzioni straordinarie ed orrori. E’ proprio ascoltando la narrazione di questa donna semplice e allo stesso tempo straordinaria, che ho riscoperto l’importanza di sapere ciò che è accaduto prima di noi. Penso che conoscere il passato e le “storie” di uomini e donne che ci hanno preceduti, ci fornisca uno strumento in più per comprendere il periodo buio che sta attraversando l’umanità.
Un popolo che non racconta, che non scava nella propria storia per rielaborarla al fine di creare qualcosa di migliore attraverso l’intelligenza, la fantasia e l’amore, è un popolo condannato al crepuscolo della vita e dei suoi misteri.
Ecco l’importanza dell’incontro con Rosa.
Questa donna è stata protagonista nella lotta della Resistenza in Italia, subendo la deportazione al campo di Ravensbruk negli ultimi periodi della seconda guerra mondiale e attraversando tutte le vicissitudini del dopo guerra. Rosa, è stata testimone e vittima diretta della più grande follia omicida del XX secolo: il nazismo, ma ne parla con calma e chiarezza, e dedica la sua vita a raccontare, a scrivere la sua storia attraverso poesie, articoli e testimonianze.
Durante il nostro periodo di interviste, abbiamo scelto insieme alcune sue poesie, vecchie fotografie, immagini, qualche documento, qualche oggetto e abbiamo ritrovato alcune musiche e canzoni del tempo. Le registrazioni dei suoi racconti sono durate molte ore. Il testo dello spettacolo nasce quindi dalle sue parole ma durante la scrittura Rosa muore. E’ il 28 gennaio 2009.
A lei è dedicato questo “viaggio”: alla poetessa, alla scrittrice, alla donna piena di passione, nata nella mia stessa terra. Attraverso Rosa, ho potuto guardare attentamente ciò che sono diventati ora questi luoghi di confine, e quello che erano un tempo: la bellezza e l’aria di tanti anni fa e il cambiamento così profondo che li ha trasformati in qualcos’altro.
Pare proprio che ci sia una voragine tra il mondo friulano di adesso e quello di allora. Ma attraverso le parole di Rosa, anche la lingua torna ad essere un ponte tra il territorio che fu e il mio “giovane udito”. Così, si ripercorrono luoghi cari e si ritorna a segnare un “centro” di grande importanza, che troppo spesso viene dimenticato.
Note di regia
Siamo all’interno di uno spazio circolare, piccolo, intimo e delimitato da un cerchio di pietre e da sette lumi disposti lungo il perimetro. Al centro del cerchio, cresce un albero bianco, scarno, morto. Alcune scatole e cassetti di legno coperti da un velo nero, sono accatastati ai suoi piedi. Sembrano i mobili di una casa rimasta chiusa da molto tempo, oppure la tomba di una persona in un piccolo cimitero.
Sopra i cassetti è seduta al buio una donna. Tiene una candela in mano. Ha il capo chino, gli occhi chiusi e sospira una canzone. Alle sue spalle, in fondo, appena fuori dal cerchio, c’è un uomo seduto. E’ vestito a lutto e ascolta il canto. Ha una fisarmonica in braccio. E’ un musicista venuto a suonare in questa “festa d’addio”. I due aspettano…aspettano le persone, aspettano da molto tempo. Sono lì per loro, per dare l’ultimo saluto, e finalmente, quando tutti arrivano, inizia una musica.
La donna apre gli occhi e in silenzio guarda commossa tutti quanti. Si alza a gran fatica, lenta e fragile: è una donna anziana, una donna già morta ma che è ancora qui su questo mondo. Il suono dolce e vibrante della fisarmonica, la accompagna mentre si avvicina al “confine” segnato a terra dalle pietre. La donna vorrebbe sfiorare la mano di qualcuno ma non può. Si ferma e inizia commossa il suo “ultimo” saluto.
All’inizio è un benvenuto in questa terra di cose che a tratti è davvero il salotto di una vecchina e che poi, durante il racconto, diventa tutti i luoghi del passato. Lei accoglie le persone care. Offre loro tutta la sua vita fatta di ricordi, volti, pensieri e passioni, chiusi dentro ai cassetti e alle scatole che vengono aperte, svelando lentamente il racconto.
La storia inizia proprio da alcuni volti: vecchie foto di famiglia chiuse in un piccolo cassetto. La donna le mostra e le consegna al pubblico. Per ogni foto racconta un aneddoto, un fatto accaduto e rivivendoli in prima persona, anche lei, improvvisamente torna giovane per brevi attimi.
Da subito costruisce un legame intenso con il passato e il presente. Lei anziana e già morta, perla con il pubblico e con se stessa, dicendo che: “…ci son morti più vivi dei vivi” e dicendo di: “…avere ancora un po’ di tempo prima di andare…dove non si sa!”. E’ una continua riflessione giocosa sulla vita e sulla morte, su tutto ciò che passa. E tutto passa…
Sono interrogativi che lei pone a sé, al pubblico, a quel musicista venuto a suonare per lei e all’albero bianco che ha visto il tempo passare. Poi d’improvviso il tempo del racconto cambia e ci s’ immerge completamente nel passato, negli anni quaranta, quando lei, la donna era una giovane, piena di vita, di sogni e di voglia di costruire un futuro migliore. Ora è dunque la giovane che racconta.
La postura cambia, i tempi cambiano e gli oggetti iniziano a prendere vita. Da una “morte” iniziale, si passa ad un “tempo d’Estate”: il 1938, i racconti della fabbrica, i primi pensieri di rivolta contro il fascismo, il foulard rosso indossato per protesta, le prime poesie scritte e il tentativo di cambiare il mondo, la caduta del Duce nel luglio del ’43, l’arrivo nella Resistenza e le corse in bicicletta come staffetta, attraverso tutto il Friuli di allora.
Anche l’albero bianco accoglie i segni di questa “Estate”, quando lei appende il campanello della bicicletta tra i suoi rami. Da questa parte centrale della storia, si torna poi al presente. Di nuovo è la vecchia, che racconta, che scandisce il tempo attraverso le sue parole e le stagioni che passano. Siamo in “Autunno”.
La musica torna dolce, quasi un soffio di vento. E’ il momento della festa, del saluto per tutti e lei lo festeggia offrendo il caffè alle persone, al musicista e abbeverando il suo albero. Vengono aperte le scatole delle tazzine, del caffè e viene aperto il cassetto dei pensieri con lettere e fotografie del passato, raccolte e legate insieme una ad una.
Lei, mentre le persone bevono il caffè, regala una sua poesia e il racconto riparte da uno dei momenti più duri e intensi della sua vita: l’arresto e la deportazione a Ravensbruk. Irrompono nuove immagini su musiche violente che arrivano dal nord-est. Il cassetto dei pensieri cade rumorosamente a terra.
Lei cade, “crolla” insieme ai suoi pensieri. Torna giovane, poi a tratti vecchia, poi ancora giovane…ormai i due corpi si mischiano l’un l’altro e così la voce. E’ il caos. Dal cassetto dei pensieri vengono srotolati a terra i fogli scritti, le lettere e ritratti legati uno ad uno. Disegnano due lunghi binari che accompagnano il racconto del viaggio in treno fino al mar Baltico e poi l’arrivo a Ravensbruk: l’inferno delle donne, come lo chiamavano. “Ed è impossibile da raccontare l’inferno”, dice lei lentamente.
Poi racconta. Racconta poche cose, lì accucciata ai piedi dell’albero bianco, dove ormai è “Inverno”. Dove l’ultimo cassetto aperto ha lasciato scoperte alcune cose: una foto di lei da giovane e una piccola scatola aperta da cui esce della polvere bianca. Si crea un lungo silenzio, perché siamo in un luogo in cui i pensieri si perdono e l’unico modo per non morire è quello di pensare.
Così lei, lì seduta di spalle, pensa…pensa. E a un tratto, sopra di lei si accende un cielo di stelle, torna la musica, il suono, torna a parlare l’anima. Il portone del campo si apre, si torna a casa. E con il riso e il pianto insieme lei corre per attraversare quel portone, quella soglia, stringendo in mano il suo foulard rosso.
E sempre da giovane grida le ultime parole e il suo nome. Finalmente il suo nome che torna su una musica di festa. Questo è il suo “Amore”, la sua “Primavera”, la sua “Resistenza”. Danzando il suo foulard rosso viene appeso all’albero. La giovane che danza ritorna la vecchia che danza e che raccoglie una manciata della sua polvere.
E alla fine, con un soffio, la regala a questo mondo e salutando, di spalle se ne va…
Rimangono i suoi oggetti, come tante piccole lapidi in mezzo alle pietre e la terra. Rimane l’albero che ha visto passare il tempo e che ora è un monumento, con un campanello, un foulard e una foto. Rimane la musica che ha accompagnato la donna e il suo sospiro fino a qui. E poi improvvisamente anche questa passa, torna il buio e il suono se ne va.
Domenica 26 dicembre 2010 al Nuovo Teatro Nuovo di Napoli “Sostakovic, il folle santo”
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