Di: Sergio Palumbo

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Al Teatro Bellini di Napoli, dal 7 al 12 gennaio 2025, va in scena “Fantozzi. Una tragedia”, un’opera che supera il confine del semplice spettacolo teatrale per diventare una riflessione universale sull’umana fragilità, capace di coniugare commedia e tragedia con un equilibrio raro e prezioso. Sotto la direzione di Davide Livermore, uno dei registi più visionari del panorama teatrale contemporaneo, il pubblico si trova immerso in un universo dove il celebre ragionier Ugo Fantozzi, interpretato magistralmente da Gianni Fantoni, rivive nella sua dimensione più autentica, tragica e umana. Tratto dai primi tre libri di Paolo Villaggio, pubblicati tra il 1971 e il 1976, lo spettacolo riesce nell’impresa di restituire l’essenza originaria di Fantozzi, attingendo direttamente alla sorgente di quella satira feroce che ha trasformato un personaggio letterario in una maschera eterna del teatro italiano.

Sin dalle prime battute, appare chiaro che Davide Livermore ha compiuto una scelta radicale: non limitarsi a un omaggio nostalgico ai celebri film, ma esplorare la natura profonda dei testi di Villaggio, recuperando quella dimensione tragica che spesso è stata oscurata dal successo delle gag cinematografiche. Questo spettacolo, infatti, non è una semplice sequenza di sketch familiari, ma un’opera teatrale complessa e stratificata, dove ogni dettaglio è pensato per riportare il pubblico al cuore della poetica di Fantozzi. Livermore gioca abilmente con i codici della Commedia dell’Arte, fondendo elementi della tragedia classica con la comicità surreale e amara tipica dell’universo fantozziano. L’eco delle grandi tragedie greche e dei drammi shakespeariani risuona nei monologhi del protagonista, rendendo Fantozzi un personaggio quasi epico nella sua sconfitta quotidiana.

Lo spettacolo si struttura in quattro atti e un epilogo sorprendente, affrontando i grandi temi che attraversano la vita del ragioniere: il lavoro, le donne, lo sport e la coscienza di classe. Episodi iconici come la partita di tennis nella nebbia mattutina, la famigerata Corazzata Potëmkin, il campeggio tra i turisti tedeschi e la disperata corsa mattutina per prendere l’autobus al volo dopo aver bevuto un caffè bollente a tremila gradi Fahrenheit vengono riportati in scena con una precisione quasi filologica, ma al contempo con una sensibilità nuova. Davide Livermore evita il rischio di ridurre tutto a una mera imitazione delle scene più celebri dei film, e sceglie invece di immergersi nell’essenza più profonda dei libri di Villaggio, là dove il comico si intreccia indissolubilmente con il tragico.

La scenografia di Lorenzo Russo Rainaldi è un elemento centrale della messa in scena: minimalista ma straordinariamente evocativa, si basa su una dimensione uditiva e simbolica, dove i suoni giocano un ruolo cruciale. Gli oggetti di scena sono pochi, ma ogni elemento è carico di significato. Il suono, inoltre, è una presenza costante: i rumori degli uffici, delle auto, delle sveglie e delle voci lontane si fondono in una colonna sonora ambientale che immerge lo spettatore nella routine ossessiva e kafkiana di Fantozzi. Le luci di Aldo Mantovani, precise e poetiche, accompagnano i momenti più intensi dello spettacolo, passando dalle tonalità fredde e asettiche degli uffici a quelle più calde e soffuse delle scene domestiche. I costumi di Anna Verde sono un altro punto di forza della produzione. Ogni personaggio è caratterizzato da dettagli che raccontano una storia, come il basco stropicciato di Fantozzi, i tailleur sgargianti della Signorina Silvani o la vestaglia di Pina. Ogni abito non è solo un vestito, ma una vera e propria estensione del personaggio, che ne amplifica tic, posture e fragilità. La supervisione musicale di Fabio Frizzi, storico compositore delle colonne sonore dei film di Fantozzi, aggiunge uno strato emotivo profondo all’esperienza teatrale. I motivi musicali, che alternano malinconia e leggerezza, richiamano immediatamente l’immaginario dei film, ma vengono utilizzati con intelligenza, senza mai risultare invasivi.

Al centro di tutto, però, c’è Gianni Fantoni, che incarna il ragionier Fantozzi con una profondità rara. Fantoni non è un semplice imitatore di Paolo Villaggio, né si limita a replicare le scene più celebri della saga cinematografica. La sua interpretazione è un vero e proprio atto d’amore nei confronti del personaggio, un tributo che non scade mai nella caricatura. Con il suo corpo massiccio e la sua mimica straordinaria, Fantoni dà vita a un Fantozzi tridimensionale, fragile e grottesco, comico e disperato. La sua voce, che riesce a passare dal tono sommesso e rassegnato a quello isterico e urlato, racconta più di mille battute. È nei silenzi, negli sguardi persi nel vuoto, nei movimenti impacciati che si cela la vera grandezza della sua interpretazione. Fantoni riesce a far ridere, certo, ma riesce anche a far riflettere e, in alcuni momenti, persino a commuovere.

Accanto a lui, un cast di attori perfettamente affiatato che si muove con straordinaria sinergia sul palcoscenico. Paolo Cresta, nel ruolo di Calboni, riesce a restituire tutta l’arroganza meschina e sprezzante del geometra arrivista, con una performance che oscilla tra il ridicolo e il patetico. Cristiano Dessì, nei panni del fedele Filini, è una spalla perfetta, capace di alternare entusiasmo e rassegnazione con naturalezza. Lorenzo Fontana, che interpreta la Signorina Silvani, offre una performance esilarante, giocando abilmente tra femminilità e caricatura. Rossana Gay, nella parte della Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, è una presenza scenica imponente, con un’interpretazione che fonde ironia e nobiltà decadente. Marcello Gravina, nei panni di Cecco, il fornaio, porta sul palco un’energia travolgente, mentre la brillante Simonetta Guarino, nel ruolo del “dizionario fantozziano”, è un punto di riferimento costante per il pubblico. Valentina Virando e Ludovica Iannetti, nei ruoli di Pina e Mariangela, offrono una rappresentazione dolce e al tempo stesso graffiante del tormentato nucleo familiare di Fantozzi.
Ma “Fantozzi. Una tragedia” non è solo una carrellata di scene iconiche o di personaggi memorabili: è soprattutto una riflessione potente sulla condizione umana contemporanea. Fantozzi non è solo un impiegato vessato dal sistema, ma è l’emblema di tutti noi: delle nostre sconfitte quotidiane, delle nostre piccole illusioni, delle nostre speranze infrante. Il mondo di Fantozzi, con le sue dinamiche grottesche e spietate, non è mai stato così attuale. Come suggerisce lo stesso Livermore, il mondo di Fantozzi, pur nella sua assurdità, sembra quasi più accogliente di quello odierno, dove le certezze del lavoro stabile, della pensione e della sanità pubblica sono ormai un lontano ricordo. L’epilogo dello spettacolo, nella visione di Davide Livermore, si distacca nettamente dalla leggerezza delle gag che caratterizzano gran parte dello spettacolo per immergersi in un’atmosfera di profonda malinconia. È nel monologo finale di Gianni Fantoni che si concentra il senso ultimo dell’opera: un confronto impietoso tra la società di ieri e quella di oggi, dove Fantozzi, con la sua voce stanca e disillusa, rivendica persino le certezze minime di un passato che, seppur crudele, garantiva almeno una stabilità di fondo. Non c’è catarsi, né redenzione, solo la presa d’atto di un destino ineluttabile che accomuna ogni individuo, senza distinzioni di classe o privilegi. Con questo finale, lo spettacolo non lascia spazio a una risata liberatoria, ma sospende il pubblico in una riflessione amara e universale, rendendo Fantozzi non più solo una maschera comica, ma un archetipo tragico e senza tempo.

“Fantozzi. Una tragedia” sarà in scena al Teatro Bellini di Napoli fino al 12 gennaio 2025.
Link: io sito del Teatro Bellini di Napoli – www.teatrobellini.it.