Di: Sergio Palumbo
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Dopo Carpi e Ferrara, Vinicio Capossela arriva a Napoli con il suo nuovo tour, “Con i tasti che ci abbiamo – Tredici canzoni urgenti in teatro”, al Teatro Augusteo. Nella data napoletana, il cantautore è stato affiancato da Daniele Sepe ed Andrea Tartaglia.
Proprio Tartaglia è il protagonista dell’inizio scoppiettante con i primi due brani, Sul divano occidentale e All you can eat, due delle “canzoni urgenti” dell’ultimo album, con il quale Capossela ha sentito il bisogno, l’urgenza appunto, di mettere in versi e musica la precarietà, le distorsioni, la brutalità della società contemporanea, dove la guerra “è signora della Terra” e gli “archibugi” si sono evoluti fino a consentire di distruggere più volte il pianeta.
L’atmosfera diventa quella di un duello western tra i “noi” ed i “voi” di Dalla parte del torto, dove si contrappongono torto contro torto, senza più parte del giusto. Ma se la contrapposizione fosse in realtà tra la parte di sopra e la parte di sotto, Capossela non avrebbe dubbi della parte da cui stare: Dalla parte di Spessotto.
Staffette in bicicletta, cantata insieme alla violoncellista Daniela Savoldi, racconta delle staffette partigiane, la cui importanza nella Resistenza è spesso sottovalutata se non misconosciuta. Seguire i buoni esempi del passato è fondamentale, dice Capossela e come le staffette facevano “guerra alla guerra”, così fa Capossela “con i tasti che ci ha”, cioè con la musica e la forza travolgente delle parole, perché “quando la politica si fa spettacolo, spesso incivile, lo spettacolo deve farsi politica civile”. In un mondo così precario, dove l’incertezza e la paura la fanno da padrone e le bombe squarciano l’aria, ognuno deve scegliere a cosa dare valore: Il bene rifugio, come l’amore, che è anche rivoluzione, da non lasciare mai incompleta, per non ritrovarsi in un labirinto di specchi dal quale è difficile uscire, come nella toccante Parla piano.
Ancora di amore, ma tossico, si parla ne La cattiva educazione, dove nella cattiva educazione sentimentale, che si tramanda da generazioni, si identifica il vero problema alla base della violenza domestica e dei femminicidi. Ma un problema annoso della società contemporanea è anche la cattiva rieducazione, come quella delle carceri, che troppo spesso si limitano ad essere punizioni che fanno tornare i detenuti ad uno stato infantile, di Minorità.
Alla regressione dell’infantilizzazione si contrappone, invece, la potenza dell’infanzia, che si estrinseca nell’innocenza, nella forza dell’immaginazione, nella voglia di giocare, anche saltando dentro una pozzanghera per romperne il riflesso, come in Cha Cha Chaf della pozzanghera, perché si capisce che si è cresciuti quando davanti ad una pozzanghera, invece di saltarci dentro ci si gira intorno per non sporcarsi.
A volte si è costretti a crescere troppo velocemente ed è prematura la perdita dell’innocenza, come ne La crociata dei bambini, dove un corteo di bambini vuole fuggire dall’orrore della guerra, dalle macerie, dalla distruzione, non riuscendo a trovare la strada.
Una luna gonfiabile appare sulla testa dei musicisti, è lì che Ludovico Ariosto nel suo Orlando furioso aveva riposto il senno perso dagli esseri umani, ma “se il senno è tutto sulla luna, vuol dire che sulla terra non è restata altro che follia” (Ariosto governatore). Lo stesso Orlando buttava l’arcibugio che getta fuoco, l’abominoso ordigno, nel profondo del mare (Gloria all’archibugio), lì dove finiscono anche i tanti cadaveri di tanti migranti in una strage ormai ricorrente, che Capossela ricorda nel giorno del Columbus Day (“il giorno in cui è iniziata l’immigrazione clandestina”) ed in cui è stato assolto dai reati più gravi Mimmo Lucano, a cui il cantautore dedica Il povero Cristo. Ma nessuno si salva da solo e “soli non è meglio di male accompagnati”, come i quattro animali della favola de I musicanti di Brema, eseguita insieme a Daniele Sepe al sassofono (che ne ha curato l’arrangiamento sul disco Ballate per uomini e bestie) e Andrea Tartaglia, che indossa le maschere dell’asino, del cane, del gatto e del gallo protagonisti della favola.
Non possono mancare due grandi successi del passato, come Marajà e Che coss’è l’amor, che mandano il pubblico in visibilio.
I primi tre bis sono dedicati a Napoli, con un omaggio alla Sirena Partenope, rigorosamente cantata in “sirenese” (Pryntyl) e l’arrangiamento in stile barocco napoletano di Come una rosa firmato da Raffaele Tiseo. Entrando con il tocco da laureato, il dottore honoris causa in Lingue e Comunicazione Interculturale in Area Euromediterranea riporta la sua lectio magistralis sul tema dell’ingratitudine in amore, conclusa con una delicata interpretazione di Core ‘ngrato. La gratitudine per Il tempo dei regali precede la celebrazione della gioia de L’uomo vivo, con tutti gli spettatori in piedi.
Il concerto sembra finito, ma manca qualcosa all’appello: I tasti che ci abbiamo, un inno alla potenza dell’immaginazione che chiude questo concerto ricco di poesia, lasciando gli spettatori con i versi di Giacomo Leopardi: “O la immaginazione tornerà in vigore, e le illusioni riprenderanno corpo e sostanza in una vita energica e nobile, e la vita tornerà ad essere cosa viva e non morta, e la grandezza e la bellezza delle cose torneranno a parere una sostanza, e la religione riacquisterà il suo credito; o questo mondo diverrà un serraglio di disperati e forse anche un deserto”.
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