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A vent’anni dall’ultima rappresentazione, torna in scena al Teatro di San Carlo da giovedì 29 settembre a domenica 9 ottobre 2022 Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns, produzione della Staatsoper Unter den Linden di Berlino firmata dal regista cinematografico argentino Damián Szifrón e ripresa da Romain Gilbert. Le scene sono di Etienne Pluss, i costumi di Gesine Völlm e le luci di Olaf Freese (riprese da Valerio Tiberi). La coreografia è di Tomasz Kajdański.
Nuovo titolo della Stagione Lirica 21-22 in cartellone per quattro recite, Samson et Dalila vedrà sul podio il nuovo direttore musicale Dan Ettinger alla guida di Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo.
In palcoscenico un cast che annovera Brian Jagde nel ruolo di Samson (un debutto nel ruolo il suo), Anita Rachvelishvili nei panni di Dalila. Ernesto Petti sarà Il sommo sacerdote di Dagon, Gabriele Sagona Abimelech e Roberto Scandiuzzi Un vecchio ebreo. Maestro del Coro José Luis Basso.
Opera più famosa di Camille Saint-Saëns e in generale fra le più conosciute opere del repertorio romantico francese grazie alle sue straordinarie melodie e grandi scene corali, Samson et Dalila ha debuttato a Weimar nel 1877 sotto la direzione di Franz Liszt. Fonte letteraria del libretto di Ferdinand Lemaire è il Libro dei Giudici dell’Antico Testamento.
Guida all’ascolto dal programma di sala
di Fabien Guilloux
Samson et Dalila : capolavoro operistico di Camille Saint-Saëns e Ferdinand Lemaire
Delle tredici opere teatrali composte da Camille Saint-Saëns (1835-1921), Samson et Dalila (del 1877) è l’unica ad essere stata trasmessa alla posterità. Eppure nulla poteva far presagire un tale successo. Rimasta a lungo incompresa e perfino rifiutata, l’opera aveva avuto una genesi lunga e complessa. La composizione era stata infatti avviata nell’estate del 1859 ma completata solo diciassette anni più tardi, mentre la prima ebbe luogo il 2 dicembre 1877, grazie al sostegno di Franz Liszt (1811-1886). Ma per poter essere rappresentata su una scena francese l’opera dovette attendere ancora altri tredici anni quando fu rappresentata a Rouen, il 3 marzo 1890, due anni prima di entrare finalmente nel repertorio dell’Opéra di Parigi, il 23 novembre 1892. Da quel momento Samson et Dalila non uscirà più dal repertorio di quel teatro: tra il 1892 e il 1945, risulta l’opera più spesso rappresentata insieme al Faust (1859) di Charles Gounod (1818-1893) e a Thaïs (1893) di Jules Massenet (1842-1912). Nel 1859, quando nasce il progetto di Samson et Dalila, Saint-Saëns non ha ancora compiuto i ventiquattro anni. E’ un pianista rinomato, un organiste famoso al servizio di una delle chiese più prestigiose di Parigi, La Madeleine, ed è infine un compositore promettente che ha già praticato tutti i generi (mélodies, opere corali religiose e profane, musica da camera, opere concertanti e sinfoniche) ma, per via della sua «manque d’inexpérience» come lo aveva definito Hector Berlioz (1803-1869), si era visto rifiutare il prestigioso Prix de Rome, che in Francia apriva le porte alle commissioni ufficiali da parte dei teatri nazionali. Soprattutto la sua precocità artistica, la sua notevole carriera d’interprete, il suo statuto di musicista da chiesa, la sua reputazione di “sinfonista” e la sua ammirazione per Liszt e Wagner, costituivano altrettanti pregiudizi che non predisponevano certo a suo favore i direttori dei teatri. Del resto, nella sua versione originale, Samson et Dalila non era propriamente un’opera ma piuttosto un oratorio. Negli anni Cinquanta dell’Ottocento, sotto la crescente influenza del cosiddetto “mouvement orphéonique” (movimento popolare promosso da società corali e orchestrali), i parigini stavano riscoprendo gli oratori di Handel e questo genere divenne di moda, come dimostrano L’enfance du Christ (1854) di Berlioz o le Sept paroles du Christ en Croix (1859) di César Franck (1822-1890). Lo stesso Saint-Saëns avega prodotto un titolo di successo in questo campo, l’Oratorio de Noël (1858) per cui, in maniera assolutamente naturale, tra primavera ed estate del 1859, con la complicità di un suo lontano parente, il poeta dilettante Ferdinand Lemaire (1832-1879), si era lanciato nel nuovo progetto ispirato dal dramma Samson (1736) di Voltaire (1694-1778). Tutto avviene in tempi rapidi: il libretto è redatto in poco tempo, la partitura schizzata e già il 26 settembre 1859 la grande scena corale che introduce l’atto I è integralmente orchestrata. Sappiamo che, in una data che è difficile precisare, i due autori decisero poi di trasformare L’ oratorio in una vera opera, e tra il 1867 e 1868, in serate private a casa di Saint-Saëns, furono presentati larghi estratti degli atti I e II : ma l’opera fu accolta freddamente e i due autori abbandonarono il loro progetto. Retrospettivamente bisogna ammettere che Samson et Dalila possedeva tutti gli elementi per disorientare quei primi ascoltatori. Se la paragoniamo con le opere che videro la loro première a Parigi nel 1859 (la prima versione del Faust di Gounod al Théâtre Lyrique, Le Pardon de Ploërmel (Dinorah) di Giacomo Meyerbeer all’Opéra-Comique e Herculanum di Félicien David all’Académie impériale de musique, ossia l’ Opéra), si può misurare la novità radicale introdotta da Saint-Saëns e Lemaire : si trattava di un’ “opera biblica” in tre atti, con una forte componente corale e orchestrale, dall’azione piuttosto statica, incentrata su tre personaggi di cui l’unico protagonista femminile (un mezzo-soprano) anticipa di molti decenni la fascinazione fin de siècle per le “femmes fatales” e le donne libere. Soprattutto, dato il rapporto con le convenzioni drammaturgiche e del sistema produttivo del teatro musicale nel corso del Secondo Impero (1852-1870) e ancora per buona parte della Terza Repubblica (1870-1940),l’opera era destinata al fiasco. Composta senza una commissione ufficiale, Samson et Dalila aveva per prima cosa assai poche possibilità di essere accettata. Inoltre, per via del suo soggetto biblico, ricadeva sotto la scure della censura teatrale, che proibiva qualsiasi rappresentazione scenica di episodi biblici. Anche più tardi, dopo l’ammorbidimento delle proibizioni, il soggetto rimase troppo sensibile: sotto le presidenze di Jules Grévy (dal 1879 al 1887) e di Sadie Carnot (de 1887 à 1894), quando si assisteva ad una progressiva laicizzazione della sfera pubblica, all’emergere di un forte risentimento anticlericale, all’apparizione di un antisemitismo politico, e alla rimessa in discussione delle letture tradizionali della Bibbia – sotto l’influenza insieme dei lavori di Charles Darwin (1809-1882) e di Ernest Renan (1823-1892), – Samson et Dalila non poteva che suscitare polemiche ed essere strumentalizzata dai partigiani di uno o dell’altro partito, cosa che peraltro non mancò di realizzarsi. Tuttavia negli anni 1890-1892, quando finalmente l’opera fu presentata sulle scene francese trent’anni dopo la sua prima progettazione, le critiche sono rivolte fondamentalmente all’ambiguità del genere di quel testo, sorta di sintesi ibrida tra l’oratorio e il dramma lirico. Di fatto, gli elementi propri del genere oratorio sono ancora molto presenti in Samson et Dalila. Se taluni vi vedono un segno di modernità, altri al contrario, partigiani del Grand Opéra di tipo storico, deplorano che il libretto non utilizzi al massimo grado le risorse contenute nella narrazione biblica, e in particolare le dichiarazioni bellicose di Samson. Per i difensori dell’opera, al contrario, questa semplicità dell’azione, rinforza l’unità e l’intensità drammatica della partitura ed iscrive questo titolo nella scia dei drammi wagneriani, in particolare di Tristan et Isolde (1865). Dell’oratorio resta allo stesso modo la struttura tripartita del dramma, l’intrigo ridotto a tre soli protagonisti, l’azione piuttosto statistica, la parte bella lasciata alle masse corali (Atto I e Atto III) e gli imprestiti stilistici dalla musica religiosa. La grande scena corale introduttiva ne è la vestigia più sorprendente. Assume la forma d’un Salmo di Lamentatione il cui testo descrive la prigionia del popolo ebraico ed instaura un clima di desolazione (tonalità di si minore, tessiture gravi, ritmo sincopato che destabilizza la regolarità del tempo) e il coro che gioca la funzione di narratore, alla maniera del coro antico nella tragedia o dell’ historicus nell’ oratorio, tanto più che la prima parte del coro si ritrova a cantare dietro il sipario abbassato. Tra i riferimenti stilistici all’ oratorio si individuano ugualmente numerosi imprestiti e pasticci riferiti alla musica antica, col ricorso alla fuga (« Nous avons vu nos cités renversées »), a formule melodiche che evocano il canto gregoriano (« Hymne de joie, hymne de délivrance ») o ancora a delle tecniche di contrappunto semplice a due voci sotto forma di un canone tra il Grand-Prêtre e Dalila, nell’atto III (« Gloire à Dagon vainqueur »).
Saint-Saëns ha tuttavia saputo abilmente combinare questi elementi propri dell’oratorio con le convenzioni prese dalla tradizione del Grand-opéra francese, in particolare nel costruire il suo dramma intorno a un intrigo amoroso in tensione tra la sfera pubblica e privata, la presenza di scene di balletti (atto I e atto III) e di arie musicali che rinviano a degli stereotipi del genere. Per esempio, nell’atto I, l’aria di bravura di Samson (« Israël, romps ta chaîne »), l’aria di vendetta del Grand-Prêtre (« Maudite à jamais soit la race / Des enfants d’Israël ! »), nell’atto II l’invocazione di Dalila (« Samson, recherchant ma présence »), il grand duo tra Dalila e Samson (« C’est toi, mon bien aimé ! ») o nell’atto III l’aria di Samson nella sua prigione (« Vois ma misère, hélas, vois ma détresse ! »), tutte traggono chiaramente ispirazione dal Grand-opéra, in particolare dalle opere di Meyerbeer che Saint-Saëns ha conosciuto e ha sempre difeso fino al termine della sua esistenza.
Restiamo in effetti sorpresi dalla somiglianza tra l’aria di Samson « Israël, romps ta chaîne » e quella di Jean de Leyde nell’atto III del Prophète (1849) : stessa situazione drammatica, stesso ricorso a citazioni di salmi, stessa struttura musicale e stessa strumentazione che mescola abilmente accent militari (strumenti a fiato) e profetici (arpe). Similmente, il gran duo tra Dalila e Samson che occupa tutta una parte dell’atto II non può non ricordare quello tra Valentine e Raoul nell’atto IV degli Huguenots (1836) e, per il suo trattamento musicale, è ispirato dalle tecniche che si trovano già in Robert le Diable: una struttura semplice di chanson (due strofe e un ritornello) su cui Saint-Saëns propone delle variazioni vocali e orchestrali di grande delicatezza et di grande inventiva.
In Samson et Dalila troviamo anche due scene di balletto : una Danse des prêtresses de Dagon (atto I) e il celebre Bacchanale (atto III). Il successo di quest’ultima danza deriva soprattutto dal suo colore orientale, che Saint-Saëns, il maestro in questo genere secondo solo a Félicien David, è riuscito a imprimervi ispirato da melodie e ritmi tradizionali del Nord Africa, raccolti durante uno dei suoi viaggi in Egitto e Algeria. Nell’immaginario occidentale e coloniale della seconda metà del xix secolo, la sensualità esotica di questa melopea faceva sensazione, sensualità rinforzata dai costumi e dalle coreografie lascivi delle danzatrici, che non mancarono di colpire i contemporanei.
Quando Samson et Dalila apparve sulle scene francesi negli anni ‘90 dell’Ottocento, in piena moda wagneriana, i commentatori hanno chiosato a lungo sulla supposta influenza o meno del maestro tedesco su quella partitura. Negli 1860-1870, Saint-Saëns conosceva certamente le opere di Wagner, di cui era un fervente ammiratore – non a caso egli fu tra i pochi francesi invitato dal compositore al primo Festival di Bayreuth nel 1876. E tuttavia egli prenderà sempre le distanze dal wagneriano, soprattutto per quanto riguarda la tecnica del leitmotiv. Se pure esistono dei motivi ricorrenti in Samson et Dalila, che partecipano alle risorse drammatiche dell’azione, si tratta piuttosto di reminiscenze, una pratica corrente nell’opera francese del xix secolo, e in particolare nelle opere di Meyerbeer, che lo stesso Wagner riprese a suo modo, per teorizzarla ed erigerla a sistema. Se è possibile individuare un’influenza, questa è soprattutto nell’abbandono delle partiture divise in numeri chiusi, a vantaggio di una unità ricercata a livello della scena, del quadro o dell’intero atto.
Del resto io credo che Dalila resterà la mia opera capitale, così come i [compositori] più grandi di me hanno pure un punto culminante che non hanno mai superato, com’è il Faust per Gounod, La Juive per Halévy, Don Giovanni per Mozart, Les Huguenots per Meyerbeer e La Mascotte per Audran, senza che il wagneriano – io penso – vi abbia nulla a che vedere ! […]
Mi è stato rimproverato di non avere dottrina; confesso che questo mi preoccupa ben poco e che mi considererei fin troppo fortunato se potessi essere sicuro di avere del talento. (Saint-Saëns, « Samson et Dalila », Comoedia, 9 octobre 1912).
(Traduzione dal francese di Dinko Fabris)
Teatro di San Carlo
giovedì 29 settembre 2022, ore 20:00
domenica 2 ottobre 2022, ore 17:00
giovedì 6 ottobre 2022, ore 20:00
domenica 9 ottobre 2022, ore 17:00
Camille Saint-Saëns
SAMSON ET DALILA
Opera lirica in tre atti
libretto di Ferdinand Lemaire, ispirata al noto episodio biblico di Sansone e Dalila
Direttore | Dan Ettinger
Regia | Damián Szifròn ♭
Scene | Etienne Pluss
Costumi | Gesine Völlm
Luci | Olaf Freese
Interpreti
Dalila | Anita Rachvelishvili ♭
Samson | Brian Jagde ♭♭
Il sommo sacerdote di Dagon | Ernesto Petti
Abimelech | Gabriele Sagona
Un vecchio ebreo | Roberto Scandiuzzi
Un messaggero | Antonio Mezzasalma ♮
Due filistei | Mario Thomas ♮, Sergio Valentino ♮
♭debutto al Teatro di San Carlo
♭♭ debutto nel ruolo
♮Artista del Coro
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Maestro del Coro | José Luis Basso
Produzione Staatsoper Unter den Linden Berlin
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