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TEATRO SANNAZARO
DAL 21 AL 23 GENNAIO
L’ORESTE. QUANDO I MORTI UCCIDONO I VIVI
di
Francesco Niccolini
regia
Giuseppe Marini
con
Claudio Casadio
uno spettacolo illustrato da
Andrea Bruno
scenografie e animazioni
Imaginarium Creative Studio
una produzione
Accademia Perduta Romagna Teatri – Centro di Produzione Teatrale – Società per attori
in collaborazione con
Lucca Comics&Games
Da venerdì 21 a domenica 23 gennaio (venerdì e sabato ore 21.00 – domenica ore 18.00) al teatro Sannazaro va in scena L’Oreste. quando i morti uccidono i vivi di Francesco Niccolini per la regia di Giuseppe Marini con Claudio Casadio.
Uno spettacolo illustrato da Andrea Bruno prodotto dall’Accademia Perduta Romagna Teatri – Centro di Produzione Teatrale – Società per attori in collaborazione con Lucca Comics&Games.
L’Oreste è internato nel manicomio dell’Osservanza a Imola. È stato abbandonato quando era bambino, e da un orfanotrofio a un riformatorio, da un lavoretto a un oltraggio a un pubblico ufficiale, è finito lì dentro, perché, semplicemente, in Italia, un tempo andava così. Dopo trent’anni non è ancora uscito: si è specializzato a trovarsi sempre nel posto sbagliato nel momento peggiore. Non ha avuto fortuna l’Oreste, e nel suo passato ci sono avvenimenti terribili che ha rimosso ma dai quali non riesce a liberarsi: la morte della sorella preferita, la partenza del padre per la guerra, il suo ritorno dalla campagna di Russia tre anni dopo la fine di tutto e poi la sua nuova partenza, di nuovo per la Russia, per una fantastica carriera come cosmonauta, e – come se tutto questo non bastasse – la morte violenta della madre, una madre che lo ha rifiutato quando era ancora ragazzino con i primi problemi psichici. Eppure, l’Oreste è sempre allegro, canta, disegna, non dorme mai, scrive alla sua fidanzata (che ha conosciuto a un “festival per matti” nel manicomio di Maggiano a Lucca), parla sempre. Parla con i dottori, con gli infermieri, con un’altra sorella che di tanto in tanto viene a trovarlo ma soprattutto parla con l’Ermes, il suo compagno di stanza, uno schizofrenico convinto di essere un ufficiale aeronautico di un esercito straniero tenuto prigioniero in Italia. Peccato che l’Ermes non esista. “L’Oreste” è una riflessione sull’abbandono e sull’amore negato. Su come la vita spesso non faccia sconti e sia impietosa.
E su come, a volte, sia più difficile andare da Imola a Lucca che da Imola sulla Luna.
A prima vista “L’Oreste” – dice Francesco Niccolini – può sembrare un monologo, dato che in scena c’è un solo attore in carne e ossa. Ma quel che attende lo spettatore è ben altro: grazie alla mano di Andrea Bruno, uno dei migliori illustratori italiani, e alla collaborazione con il Festival Lucca Comics lo spettacolo funziona con l’interazione continua tra teatro e fumetto animato: l’Oreste riceve costantemente visita dai suoi fantasmi, dalle visioni dei mondi disperati che coltiva dentro di sé, oltre che da medici e infermieri. I sogni dell’Oreste, i suoi incubi, i suoi desideri e gli errori di una vita tutta sbagliata trasformano la scenografia e il teatro drammatico classico in un caleidoscopio di presenze che solo le tecniche del “Graphic Novel Theater” rendono realizzabile: un impossibile viaggio tra Imola e la Luna attraverso la tenerezza disperata di un uomo abbandonato da bambino, e che non si è più ritrovato.
Claudio Casadio
Attore teatrale e cinematografico, cofondatore, con Ruggero Sintoni, della compagnia teatrale Accademia Perduta/Romagna Teatri. “L’Oreste” è stato scritto per lui da Francesco Niccolini, così come le precedenti pièces da lui interpretate:
“Il mondo non mi deve nulla” con Pamela Villoresi e “Oscura immensità” con Giulio Scarpati, scritte da Massimo Carlotto.
“Mi piace l’idea di un teatro contemporaneo con richiami romagnoli in chiave poetica”.
Francesco Niccolini
Autore di testi teatrali per alcuni dei più importanti attori italiani, tra cui Marco Paolini, Alessio Boni, Enzo Vetrano e Stefano Randisi. È anche sceneggiatore di graphic novel pubblicati da BeccoGiallo. “I classici sono fondamentali, poi, però, occorre avere il coraggio di lasciarli, altrimenti il rischio è di andare sempre di più verso una cultura meramente ‘archeologica’, verso una cultura morta”.
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