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Juraj Valčuha sul podio
per dirigere il Notturno n1 op.70 di Martucci
e la Sinfonia n.6 in si minore op.74 di Čajkovskij
Si è tenuto il 14 novembre 2020 alle ore 12.00 il concerto programmato in streaming diretto da Juraj Valčuha che ha visto l’Orchestra del Teatro di San Carlo eseguire la versione per orchestra del Notturno n.1, op. 70 di Giuseppe Martucci e la Sinfonia n.6 in si minore op.74 “Patetica” di Pëtr Il’ič Čajkovskij.
Il concerto, che rientra nell’iniziativa “Aperti nonostante tutto” dell’Anfols, Associazione nazionale delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, sarà on line giovedì 19 novembre a partire dalle ore 19.00 sulla WebTV Anfols (www.anfols.it/webtv), sul sito web ansa (www.ansa.it), sul portale dell’Ecosistema digitale per la Cultura della Regione Campania (https://cultura.regione.campania.it) e sul nostro canale YouTube (https://www.youtube.com/user/teatrodisancarlo).
Il concerto sarà poi disponibile on demand sulla WebTV Teatro San Carlo (www.cetv-online.it) e sulla nostra WatchTV di Facebook (https://it-it.facebook.com/pg/teatrodisancarlo/videos/?ref=page_internal).
Prossimamente in streaming anche il Balletto del Teatro di San Carlo con Le Quattro Stagioni, coreografia che Giuseppe Picone ha realizzato sulle musiche di Antonio Vivaldi, Il Coro del Teatro di San Carlo diretto da Gea Garatti Ansini che eseguirà La petite messe solennelle di Gioachino Rossini nella versione per soli, coro, due pianoforti e armonium, e il Quartetto d’archi del Teatro di San Carlo composto da Cecilia Laca, Luigi Buonomo, Antonio Bossone, che sarà impegnato nel Quartetto per archi n. 8 in do minore, op. 110 diDmitrij Šostakovič e il Quartetto per archi n.4 in do minore, op. 18 di Ludwig van Beethoven.
Giovedì 19 Novembre 2020, disponibile online a partire dalle ore 19
Teatro di San Carlo – Streaming
JURAJ VALČUHA
Direttore | Juraj Valčuha
Giuseppe Martucci
Notturno n.1, op. 70
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Sinfonia n.6 in si minore op.74 “Patetica”
Orchestra del Teatro di San Carlo
Disponibile online a partire dalle ore 19 del 19 novembre 2020
www.anfols.it/webtv
> Sul sito web dell’ANSA
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Cenni storici:
Giuseppe Martucci
(1856-1909)
Notturno n.1, op. 70
La carriera di Giuseppe Martucci, musicista nato a Capua nel 1856, esattamente un secolo dopo Wolfgang Mozart, fu una eccezione nel panorama musicale italiano della fine dell’Ottocento, interamente dominato dalla musica operistica. Infatti fin dagli esordi come bambino prodigio, educato nella nascente scuola pianistica creata a Napoli dagli allievi di Thalberg, mostrò una innata inclinazione internazionale e mitteleuropea nei suoi gusti artistici, che lo portò prima come pianista poi come direttore d’orchestra ad eseguire sempre brani di autori non italiani e soprattutto non diresse mai opere ad eccezione del Tristano di Wagner. Dopo aver diretto il Liceo Musicale di Bologna divenne nel 1902 direttore del Conservatorio di Napoli dove aveva studiato, fino alla scomparsa nel 1909. Anche come compositore, fin dall’età di 16 anni, Martucci seguì il modello del sinfonismo tedesco considerando la musica strumentale come “musica assoluta” e la più alta forma di espressione della musica occidentale. Tutta l’opera orchestrale di Martucci è stata incisa in disco circa 40 anni fa dal compositore e direttore napoletano Francesco d’Avalos. Oltre a due sinfonie e due concerti per pianoforte e orchestra, trascrisse per l’organico orchestrale anche alcuni suoi brani per pianoforte, tra cui il Notturno in Sol bemolle maggiore poi divenuto opera 70, che era stato composto tra il 1888 e il 1891. In questo brano, come in altri simili, Martucci riesce a esprimere, con maggiore libertà formale rispetto alle sinfonie, il suo stato d’animo intimo e dolcemente melanconico, forse già nostalgico per un’epoca che si avvertiva ormai giunta alla sua conclusione. Proprio per questo, nonostante il suo sforzo intellettuale di guardare al nord dell’Europa, il Notturno presenta una linea melodica incantata e coinvolgente, che lo apparenta ai simili esempi magistrali forniti in altrettanto celebri Intermezzi strumentali da operisti italiani come Mascagni e Puccini, e che ne ha assicurato una continua presenza nei programmi concertisti di tutto il mondo.
Pëtr Il’ič Čajkovskij
(1840-1893)
Sinfonia n.6 in si minore op.74 “Patetica”
1. Adagio. Allegro non troppo
2. Allegro con grazia
3. Allegro molto vivace
4. Adagio lamentoso. Andante
Con la Sesta Sinfonia si chiude il ciclo sinfonico avviato da Čajkovskij con la giovanile Prima Sinfonia del 1866, quando l’autore, a 26 anni, aveva appena completato gli studi al Conservatorio di San Pietroburgo. Si tratta di uno dei cicli sinfonici più importanti di quel secolo e il primo significativo contributo russo al modello imposto da Beethoven e che a sua volta influenzerà Mahler. Ma quando Čajkovskij scrive la sua ultima sinfonia Brahms aveva già completato il suo più breve ciclo di quattro sinfonie, chiudendo di fatto il sinfonismo romantico. Il compositore russo si trovava peraltro in una situazione di grave prostrazione fisica e soprattutto mentale, che lo avrebbe portato a terminare tragicamente la sua esistenza solo nove giorni dopo la prima esecuzione di quell’ultimo lavoro in cui aveva riversato tutte le sue esperienze e forse anche le sue frustrazioni. La denominazione “Pathétique” con cui è conosciuta la Sesta Sinfonia non è del compositore ma di suo fratello Modest, sull’onda della sensazione di dolore e presagio che l’ascolto gli aveva trasmesso. Oggi in italiano la parola “patetico” ha una connotazione negativa ma per tutto il Romanticismo prevaleva l’interpretazione datane dal filosofo Schiller alla fine de Settecento, secondo cui il “patetico” è la vera essenza del sublime, che si può raggiungere solo attraverso la rappresentazione della natura sofferente: non a caso una delle più celebri sonate per pianoforte di Beethoven era stata intitolata “Pathétique”. Di dolore Čajkovskij ne aveva da vendere, dopo la fine del suo matrimonio di facciata e poi anche della relazione platonica (che aveva comportato un costante aiuto finanziario) con la sua mecenate Madame von Meck (il cui nome russo Nadezhda significava “Speranza”), cui si aggiunse la morte della sorella; ma soprattutto per la impossibilità di esprimere la sua vera identità di omosessuale. Il progetto della sua ultima Sinfonia era partito alcuni anni prima con la volontà di scrivere una sorta di autobiografia in musica, un “programma segreto” come lui stesso lo definì che ricapitolasse tutta la sua vita, come il bisogno di un bilancio finale. Čajkovskij appare letteralmente ossessionato da questa ultima sinfonia, e per questo alcuni studiosi l’hanno considerata una sorta di Requiem scritto per se stesso, consapevole della sua imminente fine. Non a caso la Sinfonia inizia con una melodia triste e lugubre, e poi – dopo un tema sentimentale divenuto un emblema della musica romantica, un vero tema d’amore, poi un secondo movimento danzato in forma di valzer e uno scherzo vitale, quasi dionisiaco, – si conclude con un “Adagio Lamentoso” che riprende l’atmosfera sognante del primo tempo ma ormai senza speranza, adagiandosi verso una serenità che è ormai di un altro mondo.
Cenni storici a cura di Dinko Fabris
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