Di: Sergio Palumbo
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Gianfranco Berardi è cieco dall’età di diciannove anni e, nel 2001, ha incontrato, sulle scene, Gabriella Casolari, attrice modenese con cui è iniziato un proficuo sodalizio artistico. In giro per l’Italia per i tour dei loro precedenti lavori teatrali “Io provo a volare” e “Briganti”, i due si ritrovano a captare i classici discorsi da bar. Iniziano ad ascoltarli con curiosità e, capendo che potrebbe essere ottimo materiale per un nuovo testo teatrale, cominciano ad appuntarseli e talvolta a registrarli. Prendi due anni delle conversazioni più disparate carpite nei bar italiani, mettici una buona dose di autobiografia, impasta il tutto con le abili mani di due bravi drammaturghi e affida lievitazione e cottura ad un sapiente regista (l’argentino César Brie) ed ecco che il risultato è una piccola grande magia: “In fondo agli occhi” è un testo che sa essere dissacrante e poetico al tempo stesso, in grado di muoversi in perfetto equilibrio su un filo sottile che va dal particolare all’universale e ritorno, con un linguaggio ora spigoloso e tagliente ora morbido e tenero, toni che possono essere rudi o candidi, esattamente come può esserlo la vita.
Sin dall’inizio è chiaro che lo spettacolo sarà tutto fuorché retorico: Berardi, che interpreta un contemporaneo Tiresia, è in boxer fucsia e chiodo di pelle e canta un rap: “Cieco di merda, diceva la mia mamma, cieco di merda, diceva il mio papà” e invita il pubblico a cantare con lui, ad insultarlo: “Offro io! Quando vi ricapita?” Il pubblico, inizialmente spiazzato, lo segue. “Lascia stare il pubblico”, gli dirà più avanti Italia (Gabriella Casolari), che gestisce l’omonimo bar e che vorrebbe vincere alla lotteria per andarsene via, lontano. “Lascia stare il pubblico”, gli ripete, mentre Berardi infrange la quarta parete per poi ristabilirla e poi romperla ancora, coinvolgendo il pubblico e dando vita a degli scambi esilaranti. “Aveva ragione Di Giammarco: sei troppo cabarettistico”, gli dirà ancora Italia, ma ci permettiamo di dissentire dall’illustre critico: Berardi sul palcoscenico più che un’idea di cabaret trasmette un’idea di libertà. Libertà di poter esprimere i suoi pensieri, la sua arte, la ribellione del suo personaggio (“Il cieco non ci sta!”), i suoi sentimenti più teneri, come il desiderio di paternità bloccato dalla paura o l’affetto sincero ed il legame indissolubile con Italia, mentre lei snocciola i discorsi da bar o racconta della fine della storia con l’ex marito. Berardi calca il palcoscenico con estrema disinvoltura, dominandolo anche fisicamente, muovendosi con incredibile agilità, tanto da spiazzare quella porzione di pubblico che non lo conosce, che non può far altro che domandarsi se sia realmente cieco. Una recitazione viscerale ed energica, cui fa quasi da contrappeso l’assoluto candore della Casolari, che arriva al pubblico anche nelle fasi in cui il suo personaggio si fa più nevrotico. La regia di César Brie è abile nel valorizzare tutta la forza di questo vortice di aneddoti strampalati, sferzante critica sociale, veementi invettive, battute divertenti e tenere confessioni, arrivando dritto al cuore del pubblico, facendogli guardare per un attimo il mondo con gli occhi chiusi, così riuscendo finalmente a vedere davvero.
Link: il sito del Teatro Tram di Napoli – www.teatrotram.it
“Tango Fatal – Tango y Amor!”, il 19 febbraio 2020 al Teatro Augusteo di Napoli
Recensione di “Norma”, di Vincenzo Bellini, per la regia di Lorenzo Amato, al Teatro San Carlo di Napoli