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Mercoledì 23 ottobre 2019, Teatro Nuovo Napoli

Le braci dall’opera di Sándor Márai

Il rapporto di due uomini alla resa dei conti, legati da antica amicizia e divisi da un quarantennio, come due voci che risuonano dagli abissi delle loro vite di solitudine

Due uomini, ormai anziani, si ritrovano dopo lungo tempo, l’uno di fronte all’altro, e cominciano a ripercorrere gli anni della gioventù, dell’amore, della guerra, con un segreto che, come un’ombra, aleggia su entrambi.

E’ concentrata in questa estrema sintesi l’essenza de Le braci, opera dello scrittore ungherese Sándor Márai, che, nell’adattamento di Fulvio Calise e con la drammaturgia e la regia di Laura Angiulli, sarà in scena, mercoledì 23 ottobre 2019 alle ore 21.00 (in replica fino a domenica 27), sul palcoscenico del Teatro Nuovo di Napoli.

A dar vita ai due protagonisti dell’allestimento, presentato da Teatro Coop. Produzioni/Galleria Toledo, saranno Renato Carpentieri e Stefano Jotti, con le scene a cura di Rosario Squillace e il disegno luci di Cesare Accetta.

Il passaggio d’epoca segnato dalla Prima Guerra Mondiale è il luogo temporale in cui l’ungherese Sándor Márai colloca il nucleo retrospettivo del romanzo Le BraciLe candele bruciano fino in fondo, (il titolo originale, pubblicato nel 1942), un testo legato con filo rosso alla grande tradizione romanzesca, che guarda alla crisi dei grandi miti della società occidentale e al transito in un “nuovo mondo” , rovente e mefitico inferno tropicale da cui fa ritorno il personaggio Konrad, dopo una disonorevole fuga durata quarant’anni.

Fredda e assillante invece l’attesa per il generale Henrik, che aspetta il giorno della rivalsa immerso in un tempo sospeso, fino a un mattino del 1940, quando riceve l’improvviso l’annuncio della sua visita.

L’autore costruisce un testo in cui le attitudini dei due personaggi, Henrik e Konrad, dai caratteri opposti e legati da una antica amicizia, rispecchiano ideali e archetipi ottocenteschi: onore, orgoglio e disciplina nella socialità per il soldato Henrik, melancolico temperamento artistico da poeta per il fuggitivo Konrad.

Sono due uomini alla resa dei conti, due voci che risuonano dagli abissi delle loro vite di solitudine. Sono le braci dell’incendio di un mondo che non esiste più, braci non ancora ridotte in cenere, covate sotto i carboni consunti dell’esistenza trascorsa.

Sopravvissuti al loro tempo, sono entrambi tenacemente rimasti vivi, resistendo stoicamente in una bolla d’attesa, lunghissima, diretta solo al momento cruciale del reciproco rendez-vous.

In questo confronto senza esclusione di colpi, una donna, Krisztina. Una donna, per l’appunto, che si aggira come una tigre silenziosa fra le loro vite in un contesto dove le passioni sono poste a freno dalle regole dei comportamenti, e l’istinto di sopravvivenza si afferma di necessità nell’ora delle scelte decisive.

Le braci dall’opera di Sándor Márai

Mercoledì 23>domenica 27 ottobre 2019 @ Teatro Nuovo Napoli

Inizio spettacoli ore 21.00 (mercoledì e giovedì), ore 18.30 (venerdì e domenica), ore 19.00 (sabato)

info 0814976267 email botteghino@teatronuovonapoli.it

Da mercoledì 23 a domenica 27 ottobre 2019

Napoli, Teatro Nuovo

Il Teatro Coop. Produzioni/Galleria Toledo
presenta

Le braci

dall’opera di Sándor Márai

adattamento Fulvio Calise

drammaturgia e regia Laura Angiulli

con

Renato Carpentieri e Stefano Jotti

scene Rosario Squillace

disegno luci Cesare Accetta

illuminotecnica Lucio Sabatino

aiuto regia Serena Sansoni

realizzazione scene Alovisi Attrezzeria

durata della rappresentazione 70’ circa

“Quando il destino, sotto qualsiasi forma, si rivolge direttamente alla nostra individualità, quasi chiamandoci per nome, in fondo all’angoscia e alla paura esiste sempre una specie di attrazione, perché l’uomo non vuole soltanto vivere, vuole anche conoscere fino in fondo e accettare il proprio destino, a costo di esporsi al pericolo e alla distruzione…” (S. Márai)

Vi è un segmento letterario che riflette sul senso della vita, sul destino e sull’incomunicabilità tra gli individui, temi che animano la letteratura europea tardo ottocentesca e si estendono fino agli albori del secondo conflitto mondiale e oltre.

Dai Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, all’uomo della folla, il flâneur del simbolista Charles Baudelaire, alcuni autori di grande raffinatezza intellettuale quali August Strindberg, T.S. Eliot, J.P. Sartre, ma anche Walter Benjamin, James Joyce, D.H. Lawrence, Ferdinand Céline, Franz Kafka, Luigi Pirandello e altri ancora.

Ciascuno, a proprio modo e in una visione critica spesso ferale, elabora il sentimento di deumanizzazione della società moderna dando forma a un vasto contenitore letterario dai confini incerti, che si definisce con il termine Esistenzialismo, in cui molti temi dei movimenti modernista e crepuscolare possono essere inscritti. A questo ambito appartiene l’idea dell’uomo attraversato da un profondo senso di alienazione e solitudine, testimone di un mondo al suo declino, diviso tra passato idealizzato e presente moderno e disumano.

Il passaggio d’epoca segnato dalla Prima Guerra Mondiale è il luogo temporale in cui l’ungherese Sándor Márai colloca il nucleo retrospettivo del romanzo Le BraciLe candele bruciano fino in fondo, il titolo originale pubblicato nel 1942 -, un testo legato con filo rosso alla grande tradizione romanzesca, che assieme guarda alla crisi dei grandi miti della società occidentale e al transito in un “nuovo mondo”, rovente e mefitico inferno tropicale da cui fa ritorno il personaggio Konrad dopo una disonorevole fuga durata quarant’anni. Fredda e assillante invece l’attesa per il generale Henrik, che aspetta il giorno della rivalsa immerso in un tempo sospeso fino ad un mattino del 1940, quando riceve l’improvviso l’annuncio della sua visita.

Nei personaggi de Le Braci, le attitudini dei due caratteri opposti legati da antica amicizia – onore, orgoglio e disciplina nella socialità per il soldato Henrik, melancolico temperamento artistico da poeta per il fuggitivo Konrad – rispecchiano valori decaduti tardo ottocenteschi. La questione di fondo qui posta è puramente etica, umana, dove l’elemento destabilizzante della ragione risulta essere la passione contenuta nel desiderio. Bisogna essere coerenti con sé stessi o rispettosi degli altri? Il senso della vita risiede nel legame d’amore che ci unisce a qualcuno. Il disincanto della risposta rende impossibile il rimarginarsi delle ferite. Ma permette di morire pacificati.

“Si può e soprattutto si deve restare fedeli alla passione che ci possiede, anche se questo significa distruggere la propria felicità e quella degli altri?”. “Perché me lo chiedi? Sai che è così”. (da Le Braci)

Sándor Márai e il senso della vita.

“La mia solitudine, il mio destino”. Due uomini alla resa dei conti. Henrik, un anziano militare. Konrad, il suo migliore amico. Due voci risuonano dagli abissi delle loro vite di solitudine. Sono le braci dell’incendio di un mondo che non esiste più; braci non ancora ridotte in cenere, covate sotto i carboni consunti dell’esistenza trascorsa.

Sopravvissuti al loro tempo, sono entrambi tenacemente rimasti vivi resistendo stoicamente in una bolla d’attesa, lunghissima, diretta solo al momento cruciale del reciproco rendez-vous.

Vanitas e ricordi sono fumi di ciò che resta dei grandi sentimenti ottocenteschi, idealizzazione dei “legami di parentela spirituale” traditi, ora riposti nelle morte proiezioni dei fantasmi delle loro vite trascorse. L’incomunicabilità si traveste da orgoglio. Brucia il diario di Krisztina, moglie e amante, o del tradimento del principio d’onore.

Cosa ne è stato dunque dell’umanità del singolo, di quella età dell’oro anteriore alla Grande Guerra che ne ha segnato la battuta d’arresto, quando la dignità rendeva uomini e la passione ne alimentava i sentimenti?

Come candela, la vita deve bruciare fino in fondo. La forza d’immaginazione della morte, in opposizione alla vendetta che tiene in vita, è più poderosa dello stesso vivere, una conclusione non evitata, né cercata, tra coraggiosa attesa e paura del vero, indicibile e umano.

“Due persone non possono incontrarsi neanche un giorno prima di quando saranno mature per il loro incontro.” (S. Márai)

Lavinia D’Elia

Concept

da Le braci di Sandor Màrai

Se delle umane passioni Shakespeare ne è stato il sublime poeta, Sandor Màrai (1900-1989) ne è stato l’infaticabile entomologo.

Libro dopo libro ha (psico)analizzato i comportamenti e le relazioni dei suoi personaggi fino a delineare una summa complessa e completa delle vicende umane attraversandone l’assetto sociale con lo sguardo perennemente rivolto a delinearne le regole profonde che lo animano.

E se Proust aveva potuto ragionare liberamente sul rapporto fra presente e passato personali in un contesto sociale e politico finalmente libero da ossessioni esterne, Màrai si ritrova a ragionare su una società europea sulla quale è passato il carrarmato della prima guerra mondiale.

Che oltre a dieci milioni di morti, ha “cancellato tutto ciò a cui giurammo fedeltà. Sono tutti morti oppure se sono andati rinunciando a tutto quello che giurammo di difendere. Esisteva un mondo per il quale valeva la pena di vivere e di morire. Quel mondo è morto, quello nuovo non fa più per me”.

Così dice Henrik il personaggio centrale di “ Le Braci” dal quale è tratta la pièce che vi presentiamo. Il suo antagonista, Konrad con il quale gioca la partita a scacchi dell’amicizia e dell’amore che dura la lunga vita di entrambi, è invece fuggito ai Tropici dove le “passioni covano sul fondo come il tornado dietro alle paludi, passioni di ogni genere”. Fuggito per non dover rispondere di sé stesso.

In questo confronto senza esclusione di colpi, una donna Krisztina. “Una” donna, per l’appunto, che si aggira come una tigre silenziosa fra le loro vite in un contesto dove le passioni sono poste a freno dalle regole dei comportamenti ma dove l’istinto di sopravvivenza si afferma di necessità nell’ora delle scelte decisive .

Sorprendentemente, nella sua Ungheria alla periferia dell’impero ormai in frantumi ed alle soglie della seconda carneficina che l’uomo del ‘900 ha imposto a sé ed ai suoi simili, Màrai rintraccia ancora le fila di una società con le sue regole, i suoi riti che disegna con mano spietata consapevole, mentre ne scriveva, che non sarebbe sopravvissuta all’ ondata di barbarie che già incendiava l’Europa.

“L’uomo comprende il mondo un po’ alla volta e poi muore” sono le lapidarie parole di Henrik . “Le Braci “ non è solo dunque un confronto durissimo fra due uomini in nome dell’amore e dell’amicizia; ma è l’affresco straordinario di un’intera civiltà alle soglie di perdere quel che ancora restava.