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Piccolo Bellini, dal 19 al 24 marzo
Il nullafacente
di Michele Santeramo
con Vittorio Continelli, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Michele Santeramo, Tazio Torrini
musiche Ares Tavolazzi
luci Valeria Foti, Stefano Franzoni
assistente alla regia Silvia Tufano
regia Roberto Bacci
produzione Fondazione Teatro della Toscana
Santeramo propone un’originale riflessione sul senso di impotenza e di fragilità dell’individuo nei confronti della vita; il drammaturgo, anche in scena nei panni del protagonista, è un uomo che reagisce alla grave malattia della moglie scegliendo, d’accordo con lei, di non reagire. Questa scelta appare paradossale al resto del “mondo” così come lo pratichiamo, quello che si muove intorno a loro, che ha la sua morale, la sua etica e le sue regole, quel mondo rappresentato dal Fratello, dal Medico e dal Proprietario. Alla base di questa pièce c’è l’esigenza di «riflettere – scrive Santeramo – su cosa sia giusto fare per stare bene. Ma il Nullafacente, un giorno, ha voluto correggermi e mi ha detto: caro mio – siamo ormai in confidenza -, tu sbagli domanda; quella giusta sarebbe: cosa, ogni giorno NON devo fare, per stare bene?».Piccolo Bellini, dal 19 al 24 marzo
Orari: feriali ore 21:15, giovedì ore 19:00, domenica ore 18:30
Prezzi: 18€ intero, 15€ ridotto, 10€ Under29 Durata: 70 min
IL NULLAFACENTE
di Michele Santeramo
regia e spazio scenico Roberto Bacci
con Vittorio Continelli, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Michele Santeramo, Tazio Torrini
musiche Ares Tavolazzi
luci Valeria Foti, Stefano Franzoni
assistente alla regia Silvia Tufano
assistente ai costumi Benedetta Orsoli
allestimento Sergio Zagaglia, Leonardo Bonechi, Fabio Giommarelli
immagine Cristina Gardumi
foto di scena Guido Mencari
produzione Fondazione Teatro della Toscana
atto unico – 70 minuti
NULLA: un esperimento.
Questo lavoro è una menzogna, ma il mentire, a volte, se osservato bene, ci avvicina alla verità.
Ieri, oggi o un domani, la vita di due esseri umani qualsiasi ci interroga sul Nulla.
Prende corpo una scelta paradossale al di fuori dell’esistere secondo le esigenze del “mondo” così come lo pratichiamo.
Questa scelta ci ferma e ci interroga sul senso stesso di questo “fermarsi”.
E’ una scelta crudele? Violenta? Immorale?
Il desiderio, addestrato dalla nostra vita quotidiana, ci chiederebbe di non guardare, di non ascoltare, di non “farlo”.
Il Nullafacente però agisce e ci impone un confronto, ci richiama al Nulla di esseri umani senza risposte a domande che non ci facciamo.
Essere consapevoli di questo Nulla è un altro modo per sentirci vivi? Forse.
Ma la domanda resta ed il pensiero che nasce dalle nostre care abitudini non basta più.
Roberto Bacci
Note del drammaturgo
In un tempo che richiede presenza, prestanza, efficienza, ritmo, lavoro, programmazione, qui c’è uno che non fa niente.
Niente, assolutamente niente. E non è facile.
Ci vuole metodo, applicazione, pazienza, determinazione, tutte doti che spesso ci difettano.
Ha una Moglie malata, per fortuna di un male incurabile. Per fortuna, già, perché essendo incurabile, non bisogna nemmeno far nulla per provare a guarirlo. Sarebbero felici, nonostante tutto, se solo li lasciassero in pace.
Purtroppo, intorno a loro due, c’è il mondo che si muove, con la sua morale, la sua etica, le sue regole. Intorno a loro il Fratello, il Medico, il Proprietario, sono a diverso titolo rappresentanti di quel mondo dal quale il Nullafacente vorrebbe star fuori, dal quale in realtà sta fuori. E piano, lentamente, con i mezzi di cui dispongono, poveri, i tre riescono a far cambiare le cose. In meglio o in peggio non si sa: questo dipende da come si guarda il mondo.
Questo testo è il tentativo di mettere in scena un pezzo della vita di questi personaggi, ciascuno con la sua ossessione, il suo punto di vista, il suo comportamento.
Scriverlo è stato ed è ancora, per me, il continuo e quotidiano riflettere su cosa sia giusto fare per stare bene.
Ma il Nullafacente, un giorno, ha voluto correggermi e mi ha detto: caro mio – siamo ormai in confidenza -, tu sbagli domanda; quella giusta sarebbe: cosa, ogni giorno, NON devo fare, per stare bene? Non avrei potuto scrivere questo testo senza Augusto Timperanza, Roberto Bacci, Piero Castoro, Luigi Lombardi Vallauri.
Michele Santeramo
“[…] E’ così che Il Nullafacente è teatro e, per questo, è un’opera destinata non ad avere pochi spettatori ma, … “pochi spettatori per volta”: che viva, e a lungo mi auguro, nei piccoli teatri d’Italia: lì dove solo i centimetri (annullabili dalla commozione) separano l’orlo anteriore del palco e la prima fila della platea; lì dove il buio è ancora un buio assoluto e il silenzio è un atto di rispetto e di partecipazione; lì dove ciò che vediamo continuerà a riguardarci anche quando saremo tornati a casa, avendo lasciato in noi un segno che perdura nel tempo; lì dove la parola detta da quest’arte riesce ad essere ancora parola autentica, di cui sentivamo il bisogno.”
Alessandro Toppi, Primi appunti su “Il nullafacente”, Il Pickwick
Estratti rassegna stampa
IL NULLAFACENTE
di Michele Santeramo
regia e spazio scenico Roberto Bacci
Un lavoro intessuto di filosofia e di
passione che, se lo si comprende con l’anima, in un’ora di
rappresentazione, può indurre a una riflessione profonda sulla propria
esistenza.
LAURA SESTINI – Persinsala
Il protagonista di questo dramma è un uomo che, un po’ figlio del Bartleby di Melville, un po’ dell’Oblomov di Gončarov, ha deciso – letteralmente – di non fare più nulla. Ma se l’uno era chiuso nel suo laconico rifiuto a svolgere qualunque consegna, e l’altro oscillava tra l’ozio e la trascuratezza, il Nullafacente di Santeramo è un nichilista che tende alla più consapevole atarassia. Un’atarassia ribelle. […].
Il drammaturgo, insomma, proprio alla maniera di Dostoevskij (che sembra il vero nume tutelare di questo dramma), dissemina piccole perle che, raccolte assieme, ci restituiscono la visione polifonica di un tempo finalmente complesso — il nostro.
Eccola dunque l’autentica contemporaneità,
ecco cosa significa tentare di storicizzare il presente. Bacci forse si pone
troppo “al servizio” del testo, o forse il testo si presta poco a un intervento
registico, ad ogni modo lo lascia parlare e, ancora più importante, respirare
tra le note del contrabbasso di Ares Tavolazzi e i felicissimi ripetuti silenzi
(finalmente un po’ di spazio per il silenzio a teatro!) che puntellano il
prezioso non detto di questo spettacolo (come quella sigaretta, tipico cliché
teatrale, che ci mette oltre quaranta minuti per accendersi).
[…] qui il Nullafacente ci mostra cosa accade quando il potere neppure lo si
contesta più, perché – ben più importante – lo si disconosce. Un gesto più
clamoroso di qualunque rivoluzione.
GIULIO SONNO – Paper Street
Per giorni – dopo aver visto Il nullafacente – rifletto sui personaggi della letteratura o del teatro che, per dirla con Enrique Vila-Matas, “sembrano ospitare dentro di sé una profonda negazione del mondo” al punto da rifiutarlo, il mondo, rifiutando se stessi al mondo. Figure che possiedono l’attrazione o la pulsione per il vuoto, che prediligono starsene accucciati lateralmente, che paiono impantanati, che si sotterrano pur continuando a respirare o che scelgono di tacere, ridurre gesti e proclami, che riescono a dire “no” mentre tutti gli altri ripetono “sì”. […]Ebbene. Il Nullafacente di Santeramo un po’ mi ricorda tutti questi ed altri ancora ma in realtà non è nessuno di loro: dopo giorni passati a saccheggiare scaffali di libri e memorie ho compreso infatti che il primo merito di questo spettacolo è di aver fatto venire alla luce una figura del tutto nuova, indipendente da ciò che era stato già scritto e già visto. […]
Decisive per comprendere l’opera di Santeramo e la regia di Bacci sono le luci, che definiscono due spazi: un fuori (la striscia orizzontale in proscenio) nel quale si muovono, sparlano, agiscono il Fratello, il Medico e il Proprietario; il grande perimetro che da mezzo-palco al fondo invece definisce il dentro nel quale – per gran parte dello spettacolo – abita il Nullafacente. […] Tutto concorre nel rendere un contrasto di fondo: fuori si discute, si vive e ci si dispera per il possesso, la finanza, la proprietà, il calcolo di “tariffe” e “prestiti”; fuori domina la menzogna relazionale (“E va bene, facciamo finta di non conoscerci”) e del sapere emotivamente anestetizzato e accademico; fuori pure la morte è calcolabile in termini di guadagno economico (“La zia è morta, per fortuna, e mi sono ritrovato questa eredità”) mentre dentro sentiamo frasi diverse […]
Penso che Il nullafacente risponda al concetto di teatro elaborato da Chiaromonte e che quel concetto lo ricordi, lo ribadisca e lo metta in pratica. Penso che Il nullafacente sia parola autentica, che suona vera, condivisa con lo spettatore come si condivide con l’altro un pezzo di pane. Penombra, qualche taglio di luce, pochi arredi, gli attori, la vicinanza con la platea, il testo e i suoi molti significati: che ogni spettatore viva quest’esistenza, che se ne porti a casa la sua esperienza. […]
ALESSANDRO TOPPI – Il Pickwick
Se compri qualcosa è quel qualcosa che compra te. Questo mondo crea dipendenze che sembrano antidoti per combattere la noia, s’inventa compiti, “divertimenti” e attività ma è tutto un arrangiarsi per allontanare la morte, che invece se ne sta lì affatto intimorita da tutto questo nostro agitarsi […]. Il Nullafacente non è infelice, siamo noi che lo siamo. Per questo ridiamo di lui: “Niente è più reale del nulla”, Samuel Beckett.
TOMMASO CHIMENTI – Il Fatto Quotidiano
Il luogo è una stanza con un lungo tavolo con delle sedie e una poltrona, e un reticolo con gli altri personaggi sempre in scena – Michele Cipriani, Francesco Puleo, Tazio Torrini – in una geometria di movimenti tracciati dalla regia essenziale di Roberto Bacci al servizio della parola. Che pone domande di senso, dubbi e riflessioni.
GIUSEPPE DISTEFANO – Sipario
La vicenda così universale, pone questioni urticanti di scrittura e di trattamento risolto in modalità stoica, tirata al limite del paradosso ma anche molto moderna, come accade a temi filosofici classici rivisitati, riesce a strappare sorrisi e anche qualche secca risata.
RENZIA D’INCÀ – Rumor(s)cena
Non crede che quella del tempo sia un’ulteriore forma di controllo sull’individuo?
Penso proprio di sì, tant’è che quando la moglie, preoccupata della propria condizione, gli chiede: “Secondo te ci arrivo all’anno prossimo?”, il nullafacente risponde: “Un anno è soltanto tempo, decidi tu quanto dura”. Lui ha capito che il tempo non è cronologico, non è riferito allo spazio né a null’altro rispetto a come si vuole – e soprattutto, si riesce – a starci in mezzo, senza farselo rubare.
FEDERICO RAPONI – dall’intervista a Michele Santeramo L’Opinione
Sulle sedie in prima fila si alterneranno gli attori, ingranaggi esatti di questo meccanismo perfetto nel suo procedere; prenderanno posto “con noi” nei momenti di pausa dalle loro azioni, mentre osservano insieme al pubblico l’azione, e a noi, spettatori, rivolgono sguardi obliqui; perché saranno con noi, saranno noi, nel loro essere maschere, simulacri di necessità trascurabili, rescindibili dal patto di colpa e di debito pubblico che, appena nati, cala addosso all’uomo nella cosiddetta società civile, che risponde a regole di mercato e di causa/effetto già scritte, innestate; innescate da desideri che non ci appartengono, non necessari ma fondamentali per il mercato dell’effimero, come ci ricorda Guy Debord nella “Società dello spettacolo”.
GIACOMO D’ALELIO – Krapp’s Last Post
La scrittura di Santeramo distilla una
riflessione sul tempo, unico sovrano dell’orizzonte degli eventi, all’interno
di un intreccio in cui l’inazione appare non tanto come improbabile possibilità
di resistenza alle follie del vivere contemporaneo, quanto piuttosto come
unica, sensata reazione allo scandalo della morte, all’orrore delle cronologie
con cui arginiamo e codifichiamo il reale.
«Il problema è il sabato», confessa il nullafacente alla moglie all’inizio del
dramma, quasi a voler accusare calendari e orologi, ricorrenze e candeline
accese su torte di compleanno, della loro violenta natura di memento mori.
ALESSANDRO IACHINO – Teatro e Critica
La regia di Roberto Bacci, minimalista, ancora una volta lavora sulla partitura dell’attore: e Silvia Pasello brava come sempre, mostra con dolcezza la rassegnazione del suo ruolo.
ANNA BANDETTINI – La Repubblica
Luci pastello, musiche essenziali di Ares Tavolazzi e scenografia minimale accompagnano un testo che fa emergere l’ironia, il cinismo e la finezza delle cose umane, fino al toccante finale dove la realtà esonda dal fragile alveo in cui il protagonista ha cercato di costringerla.
MARCO MENINI – Hystrio
Il quintetto di Michele Santeramo, orchestrato da Roberto Bacci, si chiama Il nullafacente. CONDIZIONE ESITENZIALE, non materiale. Il non far nulla, una volta “dolce”, per Santeramo, non ha niente da spartire con la precarietà dell’oggi.
GABRIELE RIZZA – Il Manifesto
Gli antieroi controversi di Santeramo affascinano perché sembrano essi stessi proiettati fuori dal tempo, capaci di offrire risposte incredibilmente semplici alle domande eterne dell’uomo. I due testi sono degni di nota soprattutto per la capacità di ramificazione dei sottotemi che partendo da una storia basilare e un tema cardinale guidano lo spettatore attraverso i dubbi e le incertezze sul senso della vita e sulla possibilità di essere felici.
VALENTINA SOLINAS – Scene Contemporanee
Ne Il Nullafacente, Michele Santeramo non nasconde la volontà di indagine e ascolto di un movimento contrario alla norma sociale dominante, che si estende all’interno e va in cerca di quell’interno.
È ricerca di una essenzialità ripulita dall’eccesso e dalla distrazione non necessaria. Perché lo spettro è sempre lo stesso, la paura. Questa viene incarnata in modi differenti da tutti i personaggi che circondano il protagonista.
MARIA D’UGO – Enrico Pastore
Il tempo è la misura di tutte le cose e di ogni felicità, sprecarlo in favore di una crescita inutile, che non porta da nessuna parte è delittuoso. L’immobilità diventa, tutto sommato, un aspetto dell’immortalità, la quale è una prospettiva zen che Santeramo però cala non in un monastero giapponese, bensì in un contesto occidentale mondano di agitazione e di moralismo del fare.
MARCANTONIO LUCIDI – Marcantonioluciditeatro
Michele Santeramo, uno dei più grandi drammaturghi italiani della nuova generazione, interpreta il Nullafacente, una persona che nega ogni regola o atteggiamento convenzionale, un uomo che non fa niente. Sua moglie, una bravissima Silvia Pasello, ha un male incurabile e, come il marito, ha deciso di fermare il tempo non facendo nulla. […]La scena teatrale è concepita come luogo tragico e comico allo stesso tempo.
FRANCESCO BOVE – Armadillo Furioso
Santeramo oscilla così fra lo humour spiazzante di Achille Campanile (che spingeva a fare l’opposto di ciò che fanno gli altri) e la vanità dell’attesa di Beckett. In scena, diretti con le giuste geometrie da Roberto Bacci, anche Vittorio Continelli, Silvia Pasello, Francesco Puleo e Tazio Torrini.
STEFANO DE STEFANO – Corriere del Mezzogiorno
La battaglia intrapresa dall’acuta e sensibile penna di Santeramo contrappone il fare e il non-fare; il pieno, inteso come cumulo di azioni ripetitive e inani che distraggono la mente e riempiono insensatamente le giornate, e il vuoto, questo sì, la vera pienezza, che si esprime nella scelta consapevole di riappropriarsi del tempo a disposizione, senza limitazioni di sorta imposte dal vivere collettivo, ma assecondando la Natura e la propria natura.
ANTONELLA D’ARCO – PAC Paneacqua Culture
Tutta la pièce è una lotta lieve ma non indolore tra stallo ed entropia che si consuma nella penombra metaforica di luci soffuse e buio, con raffinate incursioni musicali degli archi di Ares Tavolazzi. Su una scena essenziale ma piena di simboli – la torta di un pinteriano compleanno, un bonsai che racchiude tutto il senso dello spettacolo – gli attori si destreggiano a tempo tra dialoghi incrociati e sovrapposti, in un armonioso incontro di scrittura morbida e sapiente regia.
FRANCESCA SATURNINO – Che Teatro Fa – La Repubblica
“La scuola delle mogli” di Molière, per la regia di Arturo Cirillo, dal 20 al 31 marzo 2019 al Teatro Mercadante di Napoli
“Yerma (A’ Jetteca )”, il capolavoro di Garcia Lorca in lingua napoletana, dal 14 al 17 marzo 2019 al Teatro Tram di Napoli