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Giovedì 22 novembre 2018, Teatro Nuovo di Napoli
Il castello di Vogelod regia Fabrizio Arcuri
Claudio Santamaria e i Marlene Kuntz, tra parole musica e immagini,
affrontano un viaggio musicale nella pellicola del regista tedesco
Sovrapposizione di registri e livelli, compenetrazione, fusione tra arti, un viaggio sonoro dentro un film. Questa, in sintesi, è l’esperienza de Il Castello di Vogelod, sonorizzato dai Marlene Kuntz e interpretato da Claudio Santamaria, che debutterà a Napoli, giovedì 22 novembre 2018 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 25), sul palcoscenico del Teatro Nuovo.
Protagonista dell’allestimento è l’intrigante thriller “Il Castello di Vogelod” diretto nel 1921 da Friedrich Wilhelm Murnau, tratto dall’omonimo romanzo di Rudolf Stratz, una pellicola già “teatrale”, claustrofobica e coinvolgente, restaurata magnificamente nel 2013 e conservata nel Museo Nazionale del Cinema.
La vicenda si svolge quasi del interamente negli interni del castello di Vogelod, tra personaggi dell’alta società collegati tra loro dai tipici elementi del giallo (genere successivo di cui questa pellicola è tra i pionieri): un omicidio irrisolto, un sospettato, una vedova inquieta, strategie, inganni, segreti, rivelazioni. Il film coinvolge e appassiona anche un pubblico di quasi un secolo più avanti nel tempo.
A questo primo protagonista, il film, si sovrappone uno spettacolo teatrale, diretto da Fabrizio Arcuri e prodotto da Nuovo Teatro, che potenzia la tensione del film stesso. La colonna sonora accompagna le dinamiche dell’intreccio con i suoni graffianti, ruvidi e allo stesso tempo melodici tipici dei Marlene Kuntz.
Cristiano Godano (voce e chitarra), Riccardo Tesio (chitarra) e Luca Bergia (batteria, percussioni, cori) confermano, ancora una volta, non solo la loro cifra stilistica, ma anche come la musica possa essere traduzione visiva, interprete di immagini.
I personaggi del film, che è muto, hanno tutti la voce di Claudio Santamaria, impegnato in una performance attoriale che è sintesi tra doppiaggio, recitazione, interpretazione e rumorismo.
Infatti, l’attore romano non solo padroneggia i cambi di registro vocale e il sincronismo con le immagini, ma interpreta anche i personaggi stessi, nelle azioni e nella psicologia. A lui sono anche affidati i live electronics, quindi i rumori di scena.
Il castello di Vogelod diventa, dunque, uno spettacolo immersivo, che, letteralmente, ridà vita al film del regista tedesco.
Un esperimento di commistione di arti che omaggia un capolavoro del cinema muto in grado di far riflettere, anche dopo quasi un secolo, sulle amare conseguenze della manipolazione della realtà, dettata esclusivamente dal pregiudizio.
Il castello di Vogelod regia Fabrizio Arcuri
Napoli, Teatro Nuovo – da giovedì 22 a domenica 25 novembre 2018
Inizio spettacoli ore 21.00 (giovedì), ore 18.30 (venerdì e domenica), ore 19.00 (sabato)
Info e prenotazioni al numero 0814976267 email botteghino@teatronuovonapoli.it
Da giovedì 22 a domenica 25 novembre 2018
Napoli, Teatro Nuovo
Nuovo Teatro
diretta da Marco Balsamo
presenta
Il castello di Vogelod
Viaggio musicale nella pellicola di Murnau tra parole e immagini
voce e live electronics Claudio Santamaria
colonna sonora e sonorizzazione live Marlene Kuntz
regia Fabrizio Arcuri
si ringrazia il Museo Nazionale del Cinema
Davanti a un capolavoro del cinema muto si resta ammaliati dal rigore delle immagini e dalla capacità del cinema puro di investigare gli sguardi e le azioni.
Questa pellicola in particolare è estremamente teatrale per l’intreccio e per la claustrofobia che riesce a creare sempre rimanendo al chiuso di quattro pareti.
Tratto dal romanzo omonimo di Rudolf Stratz, il film ha in sé il potere di far credere allo spettatore che il confine fra il sospetto e la sicurezza non sia mai netto e che qualcosa o qualcuno sia sempre in grado di confonderli. Una regia che è un occhio onnisciente, che riprende gli alberi e le montagne nell’insieme e che li contrappone a inquadrature claustrofobiche di interni, perché lo sguardo di Murnau si annida ovunque la sua pupilla indagatrice possa carpire i segreti delle sue storie. Mettendo a fuoco le espressioni di certe
facce, si sfrutta al massimo l’uso dello spazio a livello psicologico, teso a delineare significati su ciò che sta succedendo ai personaggi dentro il maniero. È in questo modo che l’orrore penetra dall’esterno e dall’interno, ma anche dal presente come dal passato (si fa largo uso di flashback). Le scenografie, a tal proposito, sono naturali, ed è invece più artificiale la luce, che sembra provenire da un passato lontano, rompendo la tranquillità dei personaggi e mettendoli in relazione gli uni con gli altri.
Alla regia del film si sovrappone una regia teatrale che aumenta e potenzia la tensione grazie alla colonna sonora dei Marlene Kuntz, gruppo rock italiano noto per la loro sensibilità e la ricercatezza delle sonorità ruvide e al tempo stesso melodiche, a una scenografia semovente fatta di oggetti concreti e di schermi che consente al film uno spazio tridimensionale per fare in modo che lo spettatore intraprenda un viaggio all’interno della pellicola, e infine grazie alla voce e all’interpretazione di Claudio Santamaria che si fa narratore della vicenda ma anche attore agente sulla scena.
Il film a tratti prende corpo reale per tornare a perdersi nella virtualità delle immagini in un contrappunto costante di verità e finzione, un gioco di specchi all’infinito per potenziare al massimo la vocazione thriller di questa pellicola che dà il via a quei filoni cinematografici che poi imbastiranno un vero e proprio genere i cosiddetti “gialli”, sempre molto apprezzati dal pubblico (anche contemporaneo).
Trama del film
Riuniti in un castello, dove si erano radunati per partecipare a una caccia, alcuni uomini di società sono costretti a passare al chiuso il loro tempo a causa delle pessime condizioni atmosferiche. Al gruppo si aggiunge anche il conte Johann Oetsch, che non fa parte degli invitati e che è evitato da tutti perché corre voce sia il responsabile della morte del fratello. Una voce alimentata da un giudice in pensione.
Al castello giunge la baronessa Safferstätt, la vedova del morto che ora si è risposata. La contemporanea presenza di Oetsch e della baronessa imbarazza gli ospiti, ma la baronessa decide di restare in attesa dell’arrivo di padre Faramund, il consigliere spirituale del suo ex marito, cui vuole confessarsi.
Nei giorni seguenti, Oetsch, la baronessa e suo marito, Safferstätt, si accusano a vicenda dell’omicidio. Fino a quando la baronessa confessa che il suo precedente matrimonio si stava rivelando un fallimento, con il marito sempre più interessato ad argomenti spirituali che non a lei. Una sera, in presenza di Safferstätt, amico di lunga data del marito, lei aveva espresso il bisogno di qualcosa di trasgressivo che la allontanasse dai buoni sentimenti. Il suo desiderio era stato interpretato da Safferstätt come una volontà di liberarsi del marito, così il barone aveva ucciso l’amico.
Finalmente libera, la donna si era risposata con Safferstätt, per poi scoprire che quello che la legava al nuovo marito non era nient’altro che il vuoto dei sentimenti.
Alla fine della sua confessione, padre Faramund si toglie la finta barba e la parrucca, rivelando di essere in verità il conte Oetsch. Che può così ribadire la sua innocenza. Al barone Safferstätt non resta che il suicidio, mentre al castello giunge il vero padre Faramund.
“Ballerina”, da Patricia Highsmith, dal 22 al 25 novembre 2018 al Teatro Elicantropo di Napoli
“La divina Sarah” con Anna Bonaiuto diretta da Marco Carniti dal 23 al 25 novembre 2018 al Teatro Sannazaro di Napoli