Di: Sergio Palumbo
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“La Fanciulla del West” di Giacomo Puccini torna dopo oltre quarant’anni di assenza al San Carlo ed apre la Stagione d’opera 2017/2018 del Massimo napoletano. La scelta di questo titolo pucciniano come apertura di stagione è stata fortemente voluta dal Direttore Musicale del San Carlo, Juraj Valčuha, ed il pubblico napoletano ha risposto positivamente a questa proposta di riscoperta di un vero e proprio capolavoro da troppo tempo assente sulle scene partenopee.
Opera non certo tra le più rappresentate del repertorio pucciniano, la “Fanciulla” segna una vera e propria svolta nella produzione del genio lucchese e sembra anni luce distante, sia dal punto di vista musicale che da quello della vicenda, dalla decisamente più conosciuta Bohème, scritta tredici anni prima. La svolta stilistica sul piano musicale è il frutto della ricerca di nuove forme di espressività e risente delle sollecitazioni delle avanguardie europee che suggerivano al compositore un’urgenza di rinnovamento. Quasi inesistenti i numeri musicali chiusi, la partitura della Fanciulla è probabilmente la più sinfonica della produzione pucciniana, tanto che il direttore greco Dimitri Mitropoulos si spinse ad ipotizzarne un’esecuzione senza cantanti. La partitura risente anche dell’affermarsi di nuovi stili anche in forme d’arte diverse, come il cinema: la musica in alcuni momenti sembra “inquadrare” i personaggi e le scene. Anche dal punto di vista del libretto, la Fanciulla presenta interessanti novità, a partire dal lieto fine, che cronologicamente viene dopo i drammi di Manon Lescaut, di Mimì nella Bohème, di Tosca e di Cio-Cio-San nella Madama Butterfly (anche quest’ultima, come la Fanciulla, tratta da un dramma di David Belasco). La figura femminile di Minnie, poi, è completamente diversa dalle precedenti e decisamente innovativa per l’epoca. Minnie è una donna libera e forte, che non subisce il destino ma se ne fa artefice, magari giocandoselo a carte barando, riuscendo a realizzare il proprio sogno d’amore con caparbietà e determinazione: una figura di grande attualità, così com’è attuale il tema dell’emigrazione, tra lavoro durissimo e nostalgia di casa, con il sogno di una vita migliore che non arriva mai. La Fanciulla, poi, è una stupenda storia di “amore e redenzione”: “Fratelli, non v’è al mondo peccatore cui non s’apra una vita di redenzione!”, canta Minnie nel terzo atto.
L’allestimento di Hugo De Ana (che firma regia, scene e costumi) valorizza l’aspetto cinematografico della partitura pucciniana. Oltre ad ammiccare al cinema con i drappi che cadono all’inizio dello spettacolo e che raffigurano le locandine di grandi film western, tutto è pensato come un bellissimo set cinematografico: le scene, curatissime fino al dettaglio e che ben riproducono le atmosfere descritte nelle didascalie del libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini, i fondali, le videoproiezioni, le luci (a cura di Vinicio Cheli), i bei costumi, sembrano pensati per portare lo spettatore nel bel mezzo delle riprese di un film western. Anche l’azione in scena, molto vivace nei quadri di insieme, è da film, con una precisa attenzione per i gesti ed i movimenti di tutti i personaggi. L’unico appunto che si può muovere al regista è la scelta di inscenare una rissa tra tutti i minatori all’atto del diverbio tra Sonora e Jack Rance: a parte qualche dubbio sui motivi di una rissa in quello specifico frangente (quasi come se i minatori si schierassero istantaneamente in due fazioni), la confusione che si genera stempera la tensione drammatica del momento e distoglie l’attenzione del pubblico dal carattere del personaggio di Sonora, rendendo meno comprensibile il suo importante mutamento nel terzo atto.
La direzione di Juraj Valčuha, che ben conosce l’orchestra del San Carlo e sa come farla lavorare al massimo delle proprie straordinarie potenzialità, è scrupolosissima nell’esaltare la raffinatezza della preziosa partitura pucciniana, senza però mai penalizzare le voci. Intelligente e sensibile, la lettura di Valčuha fa risaltare gli elementi di innovazione introdotti da Puccini nella scrittura di quest’opera.
Claudio Sgura, nel ruolo di Jack Rance, già noto al pubblico napoletano nel ruolo di Lord Enrico Ashton nella Lucia di Lammermoor dello scorso marzo ed ancor prima in Luisa Miller e Pagliacci, conferisce al proprio personaggio una presenza scenica di tutto riguardo ed una voce ben timbrata e scura quanto basta. Pregevole la prova vocale di Roberto Aronica, che si alterna con Marco Berti nel ruolo di Dick Johnson: ben proiettata, squillante e potente negli acuti, la voce di Aronica è tra le più interessanti del panorama tenorile italiano. Meno convincente la prova nel ruolo del titolo (in cui si alterna con Rebeka Lokar) di Emily Magee, per la dizione inadeguata e diverse imperfezioni nei registri centrali e gravi, che si amplificano nei cambi di registro. Più che all’altezza il resto del nutrito cast, in cui spiccano Bruno Lazzaretti (Nick) e Gianfranco Montresor (Sonora). Bene il coro preparato da Marco Faelli.
La Fanciulla del West sarà in scena al Teatro San Carlo di Napoli fino al 17 dicembre 2017.
Link: il sito del Teatro San Carlo di Napoli – www.teatrosancarlo.it
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