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Play Strindberg
di Friedrich Dürrenmatt
traduzione di Luciano Codignola
con Maria Paiato
Franco Castellano
Maurizio Donadoni
scene Antonio Fiorentino
luci Luca Bronzo
costumi Andrea Viotti
musiche Antonio Di Pofi
regia Franco Però
produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Artisti Riuniti e Mittelfest 2016
Info Spettacolo
Teatro Bellini, dal 5 al 10 dicembre 2017
Orari: feriali ore 21:00 – mercoledì ore 17:30 – sabato ore 17:30 e 21:00 – domenica ore 18:00
Prezzi: da euro 14,00 a euro 32,00 – Under 29 euro 15,00
Durata: 1 h. e 30 min
Teatro Bellini, dal 5 al 10 dicembre 2017
PLAY STRINDBERG
di Friedrich Dürrenmatt
traduzione di Luciano Codignola
con
Maria Paiato – Alice
Franco Castellano – Edgar
Maurizio Donadoni – Kurt
scene Antonio Fiorentino
costumi Andrea Viotti
luci Luca Bronzo
musiche Antonio Di Pofi
regia Franco Però
coproduzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Artisti Riuniti, Mittelfest 2016
Franco Però dirige gli straordinari Maria Paiato, Franco Castellano e Maurizio Donadoni nella spassionata indagine sul microcosmo della famiglia scritta da Friedrich Dürrenmatt nel 1969 in occasione della messinscena, presso il Teatro di Basilea di Danza Macabra, uno dei testi più feroci e moderni di Strindberg. All’epoca, lo scrittore Friederich Dürrenmatt, membro della direzione del Teatro e insoddisfatto delle traduzioni e degli adattamenti esistenti del testo dell’autore svedese, decise di affrontarne egli stesso la rielaborazione. Il risultato è un’opera che oggi è diventata un classico, grazie alla sua intramontabile attualità e che, pur conservando l’essenza dell’originale, è vestita dei colori del sarcasmo e dell’ironia propri della scrittura dell’autore svizzero-tedesco. È con un sorriso che Dürrenmatt riesce a smascherare il conformismo e le ipocrisie della società: L’inferno domestico di Alice e Edgar che, divisi dall’odio dell’amore, trovano nella visita del cugino di lei, Kurt, il pretesto per far esplodere tutte le loro frustrazioni prende vita su un ring; i taglienti dialoghi intrisi di rabbia e rancore diventano dei round scanditi dal gong. La violenza è verbale e i contendenti sono tre, ma la tensione e l’atmosfera mozzafiato sono quelle di un incontro di boxe.
Note di regia
Dürrenmatt si prende gioco di noi, della nostra vita famigliare, con tutte le armi che gli sono proprie, il sarcasmo, l’ironia che trascolora nel grottesco, il gusto del comico, ma anche la violenza del linguaggio e lo fa prendendo uno dei più formidabili testi di Strindberg, Danza macabra e riscrivendolo da quel grande costruttore di storie teatrali qual’è. Prende i tre protagonisti – il capitano, la moglie e il cugino/amante che ritorna – e li posiziona sotto le luci glaciali di un ring; seziona il testo strindberghiano e ne tira fuori undici round, intervallati dai gong – proprio come un incontro di boxe o di lotta – con la sola differenza che i combattenti sono tre. Tutta l’essenza del testo originale rimane, ma Dürrenmatt ne esalta l’attualità, asciugando fin dove è possibile il linguaggio – già di per sé scarno – come in un continuo corpo a corpo, che solo il gong ferma per qualche istante, dando ai contendenti il tempo di un riposo per riprendere fiato e agli spettatori l’attimo di riflessione su quanto, nel round precedente, hanno visto. Sono immagini veloci come flash di una lotta famigliare in cui arriva all’improvviso il desiderato – da entrambi i coniugi – “straniero”, che veste i panni del cugino e rimette in gioco rapporti e conflittualità. Il riso e il pugno allo stomaco, il sorriso e l’amarezza si alternano continuamente su questo palcoscenico-ring, riportando davanti agli occhi dello spettatore gli angoli più nascosti di quel nucleo, amato od odiato, fondamentale – almeno fino ad oggi… – delle nostre società: la famiglia.
Franco Però
La piéce
Play Strindberg nasce al Teatro di Basilea nel 1969, scritta dall’autore svizzero tedesco proprio per quella messinscena (molto applaudita) e tratta dal capolavoro strindberghiano Danza macabra. La pièce – si racconta – viene creata perché Dürrenmatt, che era parte della direzione del teatro, era affascinato dalle possibilità interpretative che Strindberg aveva ideato per gli attori nel dramma originale, ma profondamente insoddisfatto delle traduzioni e degli adattamenti esistenti. Così affronta egli stesso quella materia: ed il
risultato si rivela molto più di un adattamento. «Il risultato – commenta infatti il traduttore Luciano Codignola – è un’opera drammatica unitaria, serrata, densa, coerente sul piano stilistico, perfettamente sviluppata come costruzione e di una modernità stup efacente. Al regista e agli interpreti Dürrenmatt ha fornito un pezzo di bravura, una struttura aperta dove possa esercitarsi il virtuosismo degli interpreti è […] Da questo testo, apparentemente così scarno, si può trarre uno spettacolo da togliere il fiato, qualcosa che in questi ultimi tempi s’era avuta solo con Chi ha paura di Virginia Woolf».
E di questo non può stupirsi chi conosce l’ampia e straordinaria produzione drammaturgica di Friedrich Dürrenmatt (da Romolo il grande a Un angelo scende a Babilonia, da La visita della vecchia signora a I fisici), a cui va aggiunta la notevole attività di scrittore di romanzi, racconti, saggi… Fu anche, addirittura, pittore. Nato nel 1921 a Berna, e morto a Neuchâtelnel 1990, Dürrenmatt si impone come uno dei maggiori interpreti della cultura moderna, che tratteggia e analizza nelle sue opere con sguardo rigoroso e razionalmente scettico, incline al paradosso e anche alla polemica. L’arma delgrottesco, del sarcasmo virtuosisticamente manipolato gli serve per smascherare con un sorriso l’ipocrisia del suo tempo. Forte della lezione brechtiana e dell’espressionismo, nonché di una personale maestria nell’uso del linguaggio e delle strutture drammaturgiche affascina con una scrittura forte ed essenziale, allusiva e dal respiro universale. «Nel rappresentare il mondo, al quale mi sento esposto, come un labirinto – scriveva – tento di prenderne le distanze, di fare un passo indietro, di guardarlo negli occhi come un domatore guarda una bestia feroce. E questo mondo, come io lo percepisco, lo metto a confronto con un mondo contrapposto ad esso, e che io mi invento».
Il testo che dura 90′ filati nell’intelligente, attento, allestimento di Franco Però, è diviso in una serie di round annunciati dagli attori e scanditi dal gong, lo spazio scenico essendo delimitati dalle corde di un ring com enel pugilato. […]. Il gioco al massacro è sempre più serrato e da ultimo approda al grottesco e all’assurdo, sempre eccellentemente sostenuto dagli interpreti Maria Paiato, Franco Castellano, Maurizio Donadoni. Proprio come nel teatro di Beckett e di Pinter, infatti, le occasioni per chi recita sono ghiotte, e i tre non se le lasciano scappare.
Masolino D’Amico La Stampa
Compatto e scorrevole, serrato e avvincente, Play Strindberg ha debuttato in prima nazionale al Mittelfest conquistando il pubblico. […]. La piéce, diretta da Franco Però, è vivace, a tratti molto divertente, sapida, pregna di ironia, tratteggia aggrovigliate relazioni sentimentali ma anche truffe bancarie, disegna caratteri meschinima di raggelante verosimiglianza grazie soprattutto, si ribadisce, all’interpretazione impeccabile, che restituisce mescolati, nella medesima partitura, i generi tragico e comico, che maschera totale adesione e veridicità in una recitazione invece dove il distacco e l’immedesimazione si contendono il proscenio, dando luogo a un insieme parecchio accattivante. Si vocifera che questo lavoro sia stato, per lo Stabile del Friuli Venezia Giulia, una seconda scelta, non essendo andata in porto una trattazione con qualche drammaturgo coevo e oltre confine. Se i ripieghi danno questi risultati, c’è da augurarsi che il caso si ripeta.
Sipario
La denuncia di Strindberg lascia così il posto, nelle mani di Dürrenmatt, ad una visione senza speranza che la regia di Franco Però rende appieno, sfruttando al meglio la grande libertà offerta dal testo, in un crescendo che diventa parossistico e si conclude in modo beffardo. Maria Paiato (l’ambivalente Alice), Franco Castellano (il violento Edgar) e Maurizio Donadoni (l’astuto Kurt) fanno ben emergere questo clima di odio crudele e reciproco, non più sopito o mediato da una conversazione solo apparentemente cortese, facendoli procedere inesorabilmente verso l’abisso che li aspetta in modo convincente e ben definito e mostrando, con il sorriso amaro presente nel lavoro del drammaturgo svizzero-tedesco, che la natura umana non riesce a salvare neppure la relazione matrimoniale dal combattimento senza fine che si è costretti a vivere fuori da essa.
Paola Pini Corriere dello spettacolo.
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