Di: Sergio Palumbo

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Gli anni Ottanta sono stati un’epoca felice per la drammaturgia napoletana: un decennio di notevole cambiamento e di grande innovazione, che ha modificato profondamente il modo di scrivere per il teatro. Ribellandosi allo stile ed ai canoni del teatro tradizionali e smantellando gli stereotipi sulla città di Napoli e sui suoi abitanti, alcuni autori della scena partenopea hanno dato vita ad un nuovo modo di fare teatro, con una scrittura che ne stravolgeva la struttura e ne reinventava i dialoghi, abbandonando il naturalismo e portando in scena nuovi protagonisti: figure ai margini della società, ghettizzate o deportate, veri e propri invisibili che ora venivano rappresentati in tutta la loro brutale realtà di degrado e disperazione, di illusione ma anche di dignità. Sullo sfondo, una “brutta, sporca, lurida, chiavica, zoccola, immondissima città” (“Partitura” di Enzo Moscato), che li ingurgita e li rigurgita, li ingabbia e li dimentica e che sembra ormai lontana anni luce da quella messa in scena da Scarpetta, da Viviani o da Eduardo.

“Chiromantica ode telefonica agli abbandonati amori” nasce dal progetto di Roberto Solofria e di Sergio Del Prete, che dirigono ed interpretano lo spettacolo, di mettere insieme i testi di alcuni dei maggiori protagonisti di quel cambiamento epocale della drammaturgia napoletana, inserendoli in un contesto unico. Così “Streghe da marciapiede” di Francesco Silvestri, “Ragazze sole con qualche esperienza”, “Facce ‘e San Gennaro” e “Partitura” di Enzo Moscato, “Le cinque rose di Jennifer” di Annibale Ruccello e “Scende giù per Toledo” di Giuseppe Patroni Griffi si fondono, si compenetrano, acquisendo un’unica tessitura ed i travestiti Marlene Dietrich, Rosalinda Sprint, Jennifer, Gina, Tuna, Bolero e Grand Hotel diventano una cosa sola, pur nel dualismo dei due interpreti, che ben riflette il continuo conflitto non solo di identità, ma anche tra illusione e realtà, tra lucidità e follia, tra dignità e squallore, nella perenne ricerca di quel grande amore tanto agognato e che non arriverà mai, lasciando il posto allo sconforto ed alla disperazione.

In scena c’è solo una gabbia: è lì che tutto inizia e tutto finisce, nel gesto, banale eppure tanto carico di significato, di spalmarsi la schiuma da barba sul viso, in modo rabbioso ed inquieto o pacato e quasi rassegnato, mentre fuori le “bestie” che abitano il “casino delle sirene” proseguono le proprie vite indifferenti alla solitudine ed alle angosce dei tanti ingabbiati, per amore come la Jennifer ruccelliana che non esce mai di casa nella vana attesa di una telefonata del suo Franco o nella casa grande con quattro stanze dove le “Streghe da marciapiede” Gina, Morena, Alba e Tuna decidono di riunire le proprie esistenze.

Se si ride tanto nel dialogo tra Bolero e Grand Hotel da “Scende giù per Toledo”, il brano tratto da “Facce ‘e San Gennaro” è un pugno nello stomaco, ma Roberto Solofria e Sergio Del Prete sono abili, sia dal punto di vista registico che attoriale (due pregevoli interpretazioni, viscerali ed energiche), a rendere omogenee le varie storie, evitando con maestria l’effetto “collage” il cui rischio era dietro l’angolo, in un progetto di questo tipo. Suggestive e di grande efficacia le musiche originali di Paky Di Maio.

“Chiromantica ode telefonica agli abbandonati amori” sarà in scena al Piccolo Bellini di Napoli fino al 12 novembre 2017.

Link: il sito del Teatro Bellini di Napoli – www.teatrobellini.it