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Dal 31 ottobre al 5 novembre 2017

Vangelo

Opera Contemporanea

uno spettacolo di Pippo Delbono

con Iolanda Albertin, Gianluca Ballarè, Bobò, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Grazia Spinella, Nina Violić, Safi Zakria, Mirta Zečević

musiche originali per orchestra e coro polifonico Enzo Avitabile
eseguite dal vivo da Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
direttore d’orchestra Gabriele Di Iorio

Immagini e film Pippo Delbono
con la partecipazione nel film dei rifugiati del centro di accoglienza PIAM di Asti

scene Claude Santerre
disegno luci Fabio Sajiz
costumi Antonella Cannarozzi

si ringrazia Black Tarantella Enzo Avitabile per la messa a disposizione delle partiture

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Hrvatsko Narodno Kazalište-Zagabria in co-produzione con Théâtre Vidy Lausanne, Maison de la Culture d’Amiens -Centre de Création et de Production, Théâtre de Liège.

Pippo Delbono da molti anni abita la scena come luogo di ricerca, lavorando costantemente negli spazi fertili che si vengono a creare tra pubblico e personale, tra autobiografia e storia, costruendo un’opera che si contraddistingue nel panorama internazionale per la sua originalità. Vangelo segna un nuovo passo in questo percorso. Lo spettacolo, infatti, porta il segno dell’indagine intrapresa dall’artista sulla forza sonora della voce e della parola – che lo ha portato a creare eventi e concerti con musicisti come Enzo Avitabile, Alexander Balanescu, Petra Magoni, Antoine Bataille, Piero Corso, presentati in parallelo a quelli della sua compagnia teatrale – e del percorso, intrapreso da anni verso la creazione di un linguaggio personale nell’ambito del cinema. Se già i suoi spettacoli più recenti, Dopo la battaglia e Orchidee, entrambi presentati al Teatro Bellini, risultavano profondamente segnati da quest’indagine musicale e cinematografica, la stessa cosa accade con Vangelo. Lo spettacolo, corale è stato creato a Zagabria con l’orchestra, il coro, i danzatori e gli attori del Teatro Nazionale Croato insieme agli attori della compagnia che accompagna Pippo Delbono da anni. Eccezionalmente, al Teatro Bellini sarà presentato in una versione speciale, nella quale la suggestione delle musiche composte da Enzo Avitabile diventerà materia nell’esecuzione dal vivo ad opera di Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo.

Info Spettacolo

Teatro Bellini, dal 31 ottobre al 5 novembre

Orari: feriali ore 21:00 – Mercoledì ore 17:30 – domenica ore 18:00

Prezzi: da euro 14,00 a euro 32,00 – Under 29 euro 15,00

Durata 1h e 40 min.

Compagnia Pippo Delbono

VANGELO

Opera contemporanea

uno spettacolo di Pippo Delbono

con Iolanda Albertin, Gianluca Ballarè, Bobò, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Simone Goggiano,

Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Grazia Spinella, Nina Violić,

Safi Zakria, Mirta Zečević

con la partecipazione nel film dei rifugiati del centro di accoglienza PIAM di Asti

immagini e film Pippo Delbono

musiche originali per orchestra e coro polifonico Enzo Avitabile

direttore d’orchestra Gabriele Di Iorio

scene Claude Santerre
costumi Antonella Cannarozzi
disegno luci Fabio Sajiz

foto Luca Del Pia
direzione tecnica Fabio Sajiz, luci, video Orlando Bolognesi, suono Matteo Ciardi, capo macchinista Gianluca Bolla, macchinista Enrico Zucchelli, sarta Elena Giampaoli, organizzazione Silvia Cassanelli, Alessandra Vinanti, ufficio stampa Silvia Pacciarini

Realizzazione scene e sartoria Hrvatsko Narodno Kazalište- Zagabria
si ringraziano Fabrice Aragno, Antoine Bataille, Francesca Catricalà, Teatro Nuovo di Mirandola e Teatro Comunale di Bologna

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Hrvatsko Narodno Kazalište- Zagabria
co-produzione Théâtre Vidy Lausanne, Maison de la Culture d’Amiens – Centre de Création et de Production, Théâtre de Liège.

La versione operistica dello spettacolo ha debuttato l’11 dicembre 2015 al Hrvatsko Narodno Kazalište- Zagabria (Teatro nazionale croato) con il Coro e l’Orchestra del Teatro nazionale croato.

Durata: 1h40.

PIPPO DELBONO SU “VANGELO”

“A pensarci bene, Cristo è l’unico anarchico che ce l’ha fatta” ha scritto André Malraux.

Qualche giorno prima di morire mia madre, fervente cattolica, mi ha detto: “Perché, Pippo, non fai uno spettacolo sul Vangelo? Così dai un messaggio d’amore. C’è n’è così tanto bisogno di questi tempi”. E io ho pensato subito alle recite che facevo da piccolo nella parrocchia, dove interpretavo Gesù bambino coi riccioli biondi, innamorato anch’io come lei di quel mondo di preti, di chiese, di incensi, di rappresentazioni teatrali.

E poi mi è venuto in mente quando da grande ho recitato ancora Dio, in un film di Peter Greenaway. Ma questa volta facevo anche il Demonio. E Lot, che faceva l’amore con le sue figlie e imprecava contro Dio e il Demonio.

Un personaggio in quel film diceva: “Non è Dio che ha creato l’uomo, ma è l’uomo che ha creato Dio”. E ho pensato a tutte le conquiste, le stragi, le guerre, le menzogne, le false morali create per quell’ipotesi di Dio.

Ma anche alla bellezza, all’arte, e alla poesia che quell’idea di Dio ha portato in questi duemila anni.

E a quello che diceva Marx: “La religione è un sospiro dell’anima in un mondo senz’anima”.

E così ho iniziato a filmare e a fotografare le immagini che ho incontrato nei miei viaggi in Italia, in Francia, in Romania, in Russia, in Latino America. Immagini di Madonne, di Cristi, di martiri. Ovunque trovavo qualcosa che aveva una relazione con quella storia. Ovunque ho visto Cristi dai volti dolorosi, seri. Molto poco ho visto la gioia nei volti di quei Cristi. Mi sono sentito come in prigione. Ho avuto un senso di rifiuto profondo per tutta quella iconografia buia, pesante, sofferente legata a quel Vangelo.

E così mi sono perduto, come faccio sempre quando costruisco i miei spettacoli, dimenticando quel Vangelo, o forse portandomi dietro di quel Vangelo solo il nome.

E sono finito a incontrare persone che erano arrivate in mare dall’Africa e dal Medio Oriente, attraversando oceani ma anche deserti, frontiere, carceri, muri. Ho incontrato anche degli zingari, che abitavano in luoghi di totale degradazione. E ho iniziato a stare con quei profughi, a conoscerli, a condividere con loro la vita. Li ho ospitati da me, e loro mi hanno ospitato nel loro centro di accoglienza. Abbiamo condiviso le storie, il cibo, il tempo.

E poi ho iniziato a cercare paesaggi, mari, tramonti, cieli che mi raccontassero miracoli, luce. “Quei calci lanciati verso il cielo – scriveva Pasolini guardando i ragazzi giocare a pallone – ci insegnano a lanciare i nostri desideri il più lontano possibile, in modo che la gioia del gioco ci accompagni fino alla morte”.

E poi mi sono trovato a guardare per dieci giorni un crocifisso appeso a un muro bianco, io, inchiodato in un letto di ospedale per una malattia agli occhi. Vedevo doppio e cercavo di mettere a fuoco quell’immagine davanti a me. Vagavo per i corridoi dell’ospedale, cercando di raccontare –ancora una volta con la mia camera- quel mio disperato e grottesco vedere doppio.

Come vedo doppio, disperato e grottesco questo tempo che attraversiamo, dove non riconosci più il vero dal falso, il reale dall’irreale, dove l’esasperazione del moderno ci ha fatto dimenticare qualcosa di sacro, di antico.

E alla fine mi sono rimaste dentro quelle immagini, quelle voci, quei suoni, quegli echi, quei silenzi sentiti in quei campi di zingari e di profughi, in quelle corsie d’ospedale, ma anche quella forza vitale, quella inspiegabile gioia trovata nei luoghi deputati al dolore.Pippo Delbono

A PROPOSITO DI “VANGELO”

Pippo Delbono da molti anni abita la scena come luogo di ricerca, lavorando costantemente negli spazi fertili che si vengono a creare tra pubblico e personale, tra autobiografia e storia, costruendo un’opera che si contraddistingue nel panorama internazionale per la sua originalità. Vangelo segna un nuovo passo in questo percorso.

Negli ultimi anni questa ricerca si è sviluppata in una particolare forma di performance musicale, un’indagine sulla forza sonora della voce e della parola che lo ha portato ad incontrare musicisti come Enzo Avitabile, Alexander Balanescu, Petra Magoni, Antoine Bataille, Piero Corso, con i quali ha creato eventi e concerti che vengono presentati in parallelo ai lavori della sua compagnia teatrale.

Da tempo la sua ricerca si è estesa anche alla creazione di un linguaggio personale nell’ambito del cinema, e il lavoro che ha portato ai suoi ultimi film (Amore carne, Sangue, La visite, Vangelo) scorre in parallelo alla creazione dei più recenti spettacoli, Dopo la battaglia, Orchidee, Vangelo, fortemente segnati da quest’indagine musicale e cinematografica.

Vangelo è un lavoro corale, nato in origine come opera contemporanea; è stato creato a Zagabria con l’orchestra, il coro, i danzatori e gli attori del Teatro Nazionale Croato insieme agli attori della compagnia che accompagna Pippo Delbono da anni.

Vangelo nasce a partire dalla suggestione delle musiche composte da Enzo Avitabile, e si nutre di alte suggestioni poetiche ma anche della memoria forte portata da attori che hanno attraversato una delle guerre più feroci della storia contemporanea, una guerra che ha cambiato la storia, i luoghi e i confini del loro paese.

Un confine che, proprio durante la creazione di Vangelo, si è visto sconvolto dall’arrivo di diecimila persone tra donne, uomini e bambini alla ricerca disperata di una terra promessa.

Quella di Pippo Delbono più che una compagnia teatrale è una comunità vagante, che fin dalla sua origine ha creato un nuovo alfabeto per la scena e per l’esistenza, anzi, per quel nodo inestricabile tra l’arte e la vita che solo alcuni sanno pericolosamente percorrere. Gli artisti del gruppo, lo stesso Delbono tra loro, sono prima di tutto persone che si ritrovano nella stessa natura, in un’instabilità senza soluzione, che conosce la solitudine, l’isolamento e che trova nell’atto teatrale la più alta condivisione possibile.

La via scenica, lucida e folle, di Pippo Delbono trae linfa dalle esperienze che l’artista ha compiuto con l’Odin Teatret e con Pina Bausch, e dallo studio delle discipline orientali, ma la sua tensione vera consiste nel divincolarsi dalle regole e dal metodo, per inventare un altro piano di rigore, quello del sentire. Ed è un sentire che si dà la regola del distacco; ed è così che le creazioni nascono dagli inciampi, dalle letture febbrili, dal sogno. E si nutrono dell’ascolto reciproco, dell’improvvisazione, dell’esplorazione di esperienze personali, tessuto nel quale Delbono inserisce – ora come pugnali, ora come fiori – testi talvolta molto noti che ritrovano in questo modo nuova origine.

La parola si mostra come voragine attraverso la compresenza della danza, risuonando nel suo silenzio, nel suo gesto muto; la danza a sua volta misura lo spazio e accende il ritmo che lo attraversa; i vuoti, infine, portano a compimento la spudoratezza del testo, il suo coraggio.

Nascono così drammaturgie fisiche, dove a scrivere sono “corpi senza menzogna” e dove i codici della danza e del teatro s’innestano senza irrigidirsi mai. Funzione fondamentale è giocata dalla musica, che con la sua presa totalizzante porta via lo spettatore dal proprio piano di realtà, riportandolo ad uno stadio di disarmo.

Non ci sono precedenti a un simile teatro, sia nelle premesse che nei risultati, e non vi è possibilità di replica. Quello di Delbono è un atto creativo unico, compiuto attraverso un movimento “a rovescio”: egli prende la vita, la sua pienezza, la sua ridondanza; la spoglia, la scompagina, la scandaglia fino a trovare il bandolo della bellezza che si nasconde nel punto più oscuro; e la guarda senza paura.

Ed è sempre un atto di resistenza alla morte.

Da un’intervista a Pippo Delbono

Tua madre ti ha chiesto di fare uno spettacolo sul Vangelo perché il mondo è diventato troppo crudele e ha bisogno di un messaggio di amore e di compassione. Siamo d’accordo con tua madre perché questa violenza e questo odio irrazionali possono essere interpretati come una mancanza di amore e tolleranza.

Questo significa che il messaggio si è perso o che non è mai stato veramente praticato?

Il messaggio esiste, assolutamente. Ma la parola in sé, amore, è diventata patetica, logora, strumentalizzata. Mentre dovrebbe essere collegata, invece, alla parola aprire. Quindi a una visione spirituale profonda della vita. Quando ho abbandonato la fede cattolica, tanto tempo fa, l’ho fatto perché sentivo che creava una distanza tra me e la libertà di cui avevo bisogno come artista e come uomo. La fede cattolica, come la fede in altre religioni, può contenere una sorta di paura della libertà, libertà di essere noi stessi e di amare; in questo senso a volte la parola libertà è in contraddizione con la parola religione. Eppure il Vangelo mi intriga. Contiene messaggi che mi sembrano importanti. Semplici, ma allo stesso tempo rivoluzionari. Quando si leggono le parole del Vangelo staccate da una visione moraleggiante, quando si arriva alla sostanza, si scopre che si sta parlando d’amore. Possiamo sostituire alla parola Dio la parola Universo e di fatto parliamo di qualcosa di più grande di noi, di qualcosa che ha un senso di spiritualità, ma siamo come viaggiatori sperduti che cercano di capire qualche cosa senza riuscirci. In particolare fraintendiamo la morte, e quello che viene dopo la morte. La fede esiste in quello spazio in cui non capiamo, non vediamo. Nel nostro cervello ci sono cose di cui non siamo consapevoli; poteri che non abbiamo ancora riconosciuto; la fede si muove in questo spazio.

Durante le prove di Vangelo, hai modificato il lavoro che è giunto alla sua versione finale quando l’onda dei profughi che arrivavano dalla penisola arabica è arrivata al confine con la Croazia. Ci sono forti parallelismi con le peregrinazioni bibliche…

Questo è un momento molto interessante e potente nella storia del mondo. Ci sono persone colpite dalla guerra più di altre, che si sono trovate di fronte all’annientamento, a qualcosa di atroce. Quando noi siamo toccati dalla paura e dal dolore abbiamo due possibilità: lasciarci andare alla rabbia o, al contrario, aprire la mente. Mi sembra che tra noi le persone colpite da dolore e paura tendano a chiudersi nell’indifferenza. Credo invece che quando si è toccati da qualcosa di forte e profondamente doloroso sia necessario aprire, non chiudere.

C’è qualcosa di molto interessante nella filosofia buddista che ci dice che dentro di noi è racchiuso tutto l’universo; che dentro di noi ci sono sia la luce che il demone. Sta a noi scegliere, di fronte a questa opzione, in quale stato vitale vivere. Questo implica una responsabilità in prima persona. Invece spesso nelle religioni giustifichiamo in nome della fede le nostre azioni peggiori, e questo è estremamente pericoloso.

La tua compagnia è formata da performers che provengono da aree emarginate della società; Bobò è sordomuto, Nelson era un clochard, Gianluca ha la sindrome di Down – e sono tuoi collaboratori costanti. Sulla scena appaiono “senza menzogna”, come se non recitassero ma emanassero un’immensa bellezza. Questo succede perché non percepiscono il mondo attraverso leggi prefissate? Sono loro i nuovi sacerdoti del teatro?

In parallelo alla lavorazione dello spettacolo sto girando un film; riprendo anche tutte le prove, e quando guardo poi il materiale, tutto quello che vedo di Nelson o Bobò ha un contenuto di verità, in ogni momento. Su tutti gli altri attori posso dire che sono stati più o meno bravi, che possono migliorare qua e là, invece Bobò è sempre giusto, perché è vero. Cosa significa questo? In un certo senso rivela che cosa deve essere un attore. Se confrontiamo questo con la frase del Vangelo che dice “dovreste essere come bambini se desiderate entrare nel regno dei cieli” possiamo concludere che dobbiamo essere come Bobò o Gianluca se desideriamo essere attori.

Dobbiamo imparare da queste persone diverse perché loro conoscono il segreto dell’esserci. Quando Bobò sta sul palcoscenico seduto e basta, c’è qualcosa che emana da lui che è fortemente emozionale, ma che ha anche una lucidità. Ho lavorato con lui per vent’anni e nel frattempo ho fatto molti film dove ho lavorato con grandi attori professionisti, ma su di loro non potrei sviluppare nessuna teoria. Solo su Bobò invece potrei scrivere cinque libri.

Quando ho fatto le riprese per il film con i rifugiati, che sono sopravvissuti a naufragi, torture e campi di concentramento, ho guardato dopo nelle riprese le loro facce, e ho visto qualcosa di vero, e anche di tecnicamente perfetto, verità e perfezione che non si trovano nelle espressioni degli attori “normali”. Bisogna vedere l’arte da un’altra prospettiva. Realizzare che tra queste persone che hanno attraversato l’inferno ci sono grandi artisti, persone che sono in contatto con qualcosa di profondo che noi abbiamo perso. Quando vado a trovarli nel loro centro profughi, non sono lì per salvare loro, ma per salvare me stesso. Quando mi sento confuso o triste vado lì e non penso più a niente. E’ salvifico per me. Posso dare loro un po’ di soldi per le sigarette o qualcosa del genere, ma stare con loro, in questa follia che ci circonda -anche nel mondo del teatro-, stare con loro, è, forse, per me, il Vangelo.

Raramente hai lavorato con attori di un altro teatro. Come avete lavorato tu e gli attori della tua Compagnia con gli artisti del Teatro Nazionale di Zagabria?

Una volta sola, in Germania, ho creato uno spettacolo con gli attori del Residenztheater di Monaco, e non con quelli della mia compagnia. Questa è invece la prima volta che lo faccio con attori di altra provenienza insieme a quelli con cui lavoro sempre. E questo mi piace perché il teatro è questo: un incontro tra persone. Tra persone diverse. Sia per me che per i miei attori è importante cambiare, confrontarci con nuovi interlocutori, per non cadere in un meccanismo rigido e mortale. Per me è sempre molto eccitante trovarmi in situazioni nuove; non voglio stare nella sicurezza ma nella fragilità, perché l’arte sta lì.

a cura di Ana Tonković Dolenčić, Zagabria novembre 2015

BIOGRAFIE

Pippo Delbono, autore attore regista, nasce a Varazze nel 1959. Inizia la sua formazione nel teatro di tradizione, ma poi, in Danimarca, si dedica allo studio dei principi del teatro orientale, attraverso un rigoroso lavoro sul corpo e sulla voce. In Germania, poi, è invitato da Pina Bausch a seguire il suo lavoro.

Nei primi anni ‘80 fonda la Compagnia Pippo Delbono, con la quale realizza quasi tutti i suoi spettacoli, da Il tempo degli assassini (1987) a Orchidee (2013). Le sue non sono messinscene di testi teatrali ma creazioni totali realizzate con un nucleo stabile di attori destinato a crescere nel tempo.

L’incontro con persone provenienti da situazioni sociali di emarginazione determina una svolta nella sua ricerca poetica: nasce così Barboni (1997). Alcuni di questi attori – tra cui Bobò, sordomuto incontrato e fatto uscire dal manicomio di Aversa dopo un internamento durato quarantacinque anni – hanno consolidato il loro lavoro all’interno della compagnia e sono tuttora parte centrale dell’esperienza.

Gli spettacoli – La rabbia, dedicato a Pasolini, Guerra, Esodo, Gente di plastica, Urlo, Il silenzio, Questo buio feroce, La menzogna, Racconti di giugno, oltre a quelli citati in precedenza – sono stati presentati in più di cinquanta paesi nel mondo, in teatri e festival, tra i quali il Festival di Avignone che ha ospitato quasi tutte le creazioni della compagnia, il Grec di Barcellona, il Theater Spektakel di Zurigo, la Biennale di Venezia, ecc.

Numerosi teatri, tra cui il Théâtre du Rond-Point di Parigi, hanno dedicato retrospettive al suo lavoro e coprodotto i lavori degli ultimi anni.

Enrico V – la sua unica creazione basata su un testo teatrale – è il solo allestimento italiano tratto da Shakespeare andato in scena alla Royal Shakespeare Company.

Da diversi anni Pippo Delbono indaga anche sul linguaggio cinematografico.

Nel 2003 in seguito alla tournée in Israele/Palestina gira il lungometraggio Guerra, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e vincitore del David di Donatello come miglior documentario.

Il suo secondo film, Grido (2006), è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma.

Nel 2009 realizza il lungometraggio La paura, girato interamente con un telefono cellulare, poi riversato su pellicola dalla Cineteca di Bologna e presentato in selezione ufficiale al Festival del Cinema di Locarno nel 2009 nell’ambito di una retrospettiva dedicata alla sua produzione cinematografica, che comprende anche le versioni cinematografiche de Il silenzio e Questo buio feroce.

Nel 2013 è uscito nelle sale in Italia e in Francia il suo film Amore carne, presentato in anteprima nella sezione Orizzonti alla 68° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2011, vincitore del gran premio del Festival di Nyon, considerato da Le Monde tra i migliori film dell’anno.

Il suo cortometraggio Blu sofa, realizzato assieme a Lara Fremder e Giuseppe Baresi, ha vinto il gran premio al Festival di Clermont Ferrand.

Sangue, il suo ultimo film, è stato presentato, unico italiano in concorso, al 66° Festival di Locarno, agosto 2013, dove ha vinto il premio dell’International Federation of Film Societies, al Lisbona Doc Festival dove ha vinto la Menzione d’Onore, allo Zagreb Film Festival dove ha vinto il gran premio del pubblico.

Il cortometraggio La visite, con Michael Lonsdale e Bobò, interamente girato a Versailles per il Ministero della Cultura Francese, sarà presentato alle Giornate Internazionali del film sull’arte al Louvre.

Il festival di La Rochelle ha dedicato nel 2014 un omaggio al suo cinema presentando tutti i suoi film.

Come interprete ha partecipato ai film: Io sono l’amore di Luca Guadagnino, Io e te di Bernardo Bertolucci, Goltzius and the Pelican Company di Peter Greenaway, Henri di Yolande Moreau, Un chateau en Italie di Valeria Bruni-Tedeschi, Ritorno a Atlit di Shirel Amitay, Pulce non c’è di Giuseppe Barbato, Transeurope Hotel di Luigi Cinque, Cha cha cha di Marco Risi, Più buio di mezzanotte di Sebastiano Riso, Gli uraniani di Gianni Gatti, United passions di Frédéric Auburtin, tra gli altri.

Per il Teatro Sperimentale di Spoleto ha firmato la regia dell’opera lirica Studio per Obra Maestra nel 2007, per il Théâtre Wielski di Poznan (Polonia) la regia di Don Giovanni (2014), per il Teatro San Carlo di Napoli la regia della Cavalleria rusticana (2012) e di Madama Butterfly (2014).

Nel 2011 realizza la performance Rosso Bordeaux presentata nella Place de la Comédie a Bordeaux per Evento, il festival diretto da Michelangelo Pistoletto con il coro e l’orchestra della città e con proiezioni video sui muri del palazzo della piazza.

Nel 2011 il Residenz Theater di Monaco di Baviera gli commissiona un lavoro come regista ospite dello stabile tedesco: nasce così Espressung (Il ricatto), la sua prima creazione con attori non appartenenti alla sua compagnia. Lo spettacolo debutta a Monaco il 14 gennaio 2012 ed entra a far parte del repertorio del teatro.

Con il violinista Alexander Balanescu realizza e porta in tournée il concerto Amore e carne, con la cantante Petra Magoni e la musicista Ilaria Fantin Il sangue, sull’Edipo di Sofocle, e con il musicista napoletano Enzo Avitabile Bestemmia d’amore e infine La notte con i testi di Bernard-Marie Koltés e François Koltés, accompagnato dalla chitarra del musicista Piero Corso.

Ha pubblicato con Ubulibri Barboni – Il teatro di Pippo Delbono, con le edizioni Actes Sud Mon théâtre (edito in Romania con il titolo Teatrul Meu), Récits de juin e Regards; con le edizioni Les Solitaires Intespestifs Le corps de l’acteur; con le edizioni Punto Aparte El teatro de la rabia; con Garzanti Racconti di giugno; con Barbès editore Corpi senza menzogna e Dopo la battaglia – scritti poetico-politici; con le edizioni Clichy Sangue. Dialogo tra un artista buddista e un ex terrorista tornato in libertà, scritto assieme a Giovanni Senzani; mentre diversi libri sono stati scritti e pubblicati da altri autori sulla sua esperienza teatrale e cinematografica.

Ha pubblicato regolarmente articoli su diversi giornali quali Liberazione e L’Humanité e attualmente su Il Venerdì di Repubblica.

Ha ottenuto, tra gli altri, il premio speciale Ubu per Barboni, il Premio della Critica per Guerra, i Premi Olimpici per l’Innovazione teatrale per Gente di plastica e Urlo e a Wroclaw, Polonia, nel 2009, ha ricevuto il Premio Europa per le nuove realtà teatrali.

Lo spettacolo Dopo la battaglia, che vede la partecipazione, oltre alla sua compagnia, del violinista Alexander Balanescu e dell’étoile dell’Opéra di Parigi Marie-Agnès Gillot, ha vinto il Premio Ubu 2011 come miglior spettacolo.

La sua ultima creazione, Orchidee, è stata presentata a maggio 2013 al Teatro Luciano Pavarotti di Modena nell’ambito della 9° edizione di Vie Festival attualmente in tournée in Italia e all’estero.

Nel settembre 2014 ha presentato alla Maison Rouge di Parigi la sua mostra Ma mère et les autres.

Enzo Avitabile, cantautore, compositore e polistrumentista napoletano, è uno degli artisti più conosciuti in Italia nell’ambito della musica folk popolare del Mediterraneo. La sua musica unisce l’antica tradizione popolare napoletana a generi musicali diversi, dal pop ai ritmi afro-americani, dal blues al jazz, dal canto sacro-liturgico al funky, fino ad arrivare alla creazione di un suono inedito, di una musica unica e originale, che demolisce ogni possibile sovrastruttura dettata dal mercato o dalla moda. Avitabile ha composto musiche per cinema e teatro e ha al suo attivo collaborazioni con grandi artisti pop e rock di tutto il mondo, da James Brown a Tina Turner. Nel 2012 è protagonista del film-documentario che gli ha dedicato il premio Oscar Jonathan Demme, Enzo Avitabile Music Life. Ha vinto il Premio Tenco nel 2009, un importante riconoscimento musicale italiano alla carriera di artisti che hanno dato apporto significativo alla canzone d’autore mondiale.
L’amicizia e la complicità artistica tra Pippo Delbono e Enzo Avitabile inizia nel 2013, quando Delbono lo invita a collaborare in occasione del debutto dello spettacolo “Orchidee”.
Da qui l’avvio di un sodalizio artistico che si sviluppa in numerose altre occasioni di lavoro. Due artisti che vengono da due mondi apparentemente lontani, ma che in scena cercano e trovano una perfetta armonia. Ecco dunque nascere “Bestemmia d’amore”, che ha debuttato nel 2014 a VIE Scena Contemporanea Festival per poi essere presentato nell’ambito di importanti festival musicali, come il Leuciana Festival di Caserta e il Lucca Winter Festival. “Bestemmia d’amore” è un concerto che Delbono e Avitabile hanno immaginato, costruito e realizzato insieme, dove le parole diventano musica “per parlare delle contraddizioni di questo tempo volgare e sacro, nero e luminoso, duro e dolce. Per parlare ancora dell’amore, dell’amore bestemmiato, ferito, affogato, ucciso, rinato, ucciso ancora, ancora vivo”. Questo concerto è diventato un vero e proprio fenomeno popolare, un rituale di comunicazione che cattura e coinvolge il pubblico nel canto e nella danza.
E’ con la creazione delle musiche sinfoniche per orchestra e coro polifonico per lo spettacolo “Vangelo” che la collaborazione tra Delbono e Avitabile si sviluppa ulteriormente, dando vita a un’ulteriore tappa del loro percorso creativo. Le composizioni per “Vangelo” rispettano le grandi opere del passato, nascono da sonorità sacre popolari, dalle tradizioni rituali ancestrali dei paesi del Mediterraneo per muoversi liberamente e dar vita a sonorità nuove di ampio respiro. In queste composizioni si canta un requiem alla nostra anima che in ogni epoca vive la sua via dolorosa. E’ come se la musica arrivasse lì dove non arrivano le parole e viceversa.