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Giovedì 16 marzo 2017, Teatro Elicantropo di Napoli

Quattro sante in tre atti di Gertrude Stein

Sfidare, decostruire, restituire realtà, sono gli elementi fondamentali della

messinscena, ispirata all’opera della scrittrice e poetessa statunitense

Due personaggi femminili “sfidano” il pubblico, ma anche il modo di iniziare lo spettacolo Quattro sante in tre atti di Gertrude Stein nell’adattamento e la regia di Giorgia Palombi, anche interprete con Susanna Poole e Sabrina Bonomi, che debutterà, giovedì 16 marzo 2017 alle ore 21.00 (in replica fino a domenica 19), al Teatro Elicantropo di Napoli.

Presentato da Maniphesta Teatro, l’allestimento stesso è sfidato nel suo svolgimento, nei suoi codici, nella sua forma. E il senso è sfidato, il senso profondo del fare teatro.

L’arma di questo confronto è il linguaggio che esplode ad ogni passo. Esplode la sintassi, che ci costringe a percorrere sempre lo stesso solco di percezioni e di significati, la forma della frase e della parola, la logica della comprensione, e, di conseguenza, i contenuti.

Le alchimie sperimentate con elementi del discorso mai accostati, ripetizioni, varie combinazioni e incastri, costituiscono una violazione della grammatica, che non rappresenta un espediente per stupire, ma un mezzo per ritrovare la libertà attraverso un rinnovamento decostruttivo che si rinviene in tutte le opere di Gertrude Stein.

In questi tre quadri con breve intermezzo, ispirati all’opera Quattro santi in tre atti l’autrice, e con lei la regista Giorgia Palombi e l’attrice Susanna Poole, ci invitano ad una non storia drammatica e comica, intrisa di atmosfere da tableaux vivants, dove maestra di cerimonie di un rap ante litteram è Teresa d’Avila.

Ma perché i santi di Spagna? Per Gertrude Stein “la condizione degli artisti totalmente dediti alla loro arte corrisponde in pieno alla vita dei santi, la purezza della devozione dell’artista nei confronti dell’arte riflette lo stato della vita religiosa, gli artisti e gli scrittori esprimono la spiritualità contemporanea”.

Il primo dei tre atti dello spettacolo è una provocazione sul rapporto tra emozione dello spettatore ed emozione dell’attore.

Attingendo a un saggio della stessa autrice, in cui sono spiegate le motivazioni profonde del teatro come la Stein lo concepiva, la messinscena cerca di dimostrare la differenza tra uno shock vissuto nella vita reale e la funzione di un’azione scioccante in scena.

Il secondo è un vero e proprio estratto/assaggio del testo della Stein Quattro Santi in tre atti, dove le protagoniste sono Santa Teresa e Santa Sistemazione.

Il terzo quadro offre un chiarimento di quanto proposto nei primi due. Giorgia Palombi e Susanna Poole vestono i panni di Gertrude Stein e di Alice Toklas, sua compagna nella vita e sua musa ispiratrice, per far comprendere al pubblico che “il tempo è così come potrebbe essere lasciato stare, quando era stato che fu quando se n’andò via”.

Quattro sante in tre atti di Gertrude Stein

Napoli, Teatro Elicantropo – dal 16 al 19 marzo 2017

Inizio spettacoli ore 21.00 (dal giovedì al sabato), ore 18.00 (domenica)

Info al 3491925942 (mattina), 081296640 (pomeriggio) email promozionelicantropo@libero.it

Da giovedì 16 domenica 19 marzo 2017

Napoli, Teatro Elicantropo

Maniphesta Teatro

presenta

Quattro sante in tre atti

Un’opera da cantare

di Gertrude Stein

con

Giorgia Palombi, Susanna Poole e Sabrina Bonomo

adattamento e regia di Giorgia Palombi

durata della rappresentazione 55’ circa, senza intervallo

Gertrude Stein

Nasce nel 1874 in Pennsylvania. Dopo essersi avviata agli studi di psicologia e medicina, nel 1903 si trasferisce con il fratello Leo a Parigi per dedicarsi completamente all’arte. Diventa amica di Matisse, Picasso, Braque, Juan Gris, con i quali condivide alcuni sperimentalismi linguistici. Il suo appartamento in rue de Fleurus assurge a luogo d’incontro d’una intensa avanguardia artistica la cui eredità culturale rimane a lungo operante. Muore nel 1946.

Figura di imponente statura, sempre al centro dei circoli letterari seppur sempre ai margini della letteratura ufficiale, con una sorta di tripla marginalità “jewish, woman, lesbian”, una vita trascorsa a perseguire un programma di sperimentazione letteraria che fu alla base della marginalità ma anche della rivendicazione di una centralità. Autrice autarchica, eccentrica, che con le sue orchestrazioni e ingegnosità linguistiche ha inconsapevolmente creato una scuola. Influenzò tutti quelli con cui venne a contatto, Picabia, Picasso, Djuna Barnes…

Gertrude Stein vuole includere, raccogliere, restituire la realtà che la circonda, filtrandola attraverso la decostruzione di ogni norma precedentemente ereditata anticipando la decostruzione postmoderna e la dissoluzione del significato inteso come prodotto gerarchico articolato in significato/significante. La Stein fornisce la teorizzazione della sua “grammatica” in Poetry and Grammar, questo per rassicurare sul fatto che quando viola una regola lo fa nel pieno rispetto della sua esistenza; non è mai casuale, non c’è mai un errore non voluto, tutto è sovvertito con piena consapevolezza e con intento programmatico.

Lo stesso intento di rinnovamento decostruttivo lo si può rinvenire a proposito dei generi letterari. Lo spettacolo, ovvero la lente (spectacle significa lente), serve a vedere meglio, a mostrare quello che è. Tutto può diventare oggetto di spettacolo purché qualcosa avvenga da qualche parte. Se succede qualcosa e scegliamo di notarlo, di esserne consapevoli, allora questa è sufficiente garanzia perché ci sia uno “spectacle”.

Questo qualcosa che accade non deve essere descritto, e già dal suo primo dramma la Stein decide che un dramma non deve raccontare una storia, l’aneddoto viene eliminato: quel qualcosa che accade è sufficiente a costituire un’esperienza teatrale, e la creazione di un’esperienza è per lei più importante della rappresentazione di un evento.

L’enfasi viene posta non sulla parte narrativa ma su quella legata ai battiti cardiaci, cioè la parte legata all’emozione. L’aritmia tra attori e spettatori è provocata dalla fisicità degli oggetti e dall’ingerenza della storia che ingombrano il ritmo dell’emozione con un tempo imposto. Così l’autrice propone di suscitare un vissuto mentale ex novo, hic et nunc, irripetibile. La sua fede nella materialità della lingua parlata la induce a usare le parole per riprodurre quello che gli oggetti e i corpi sentono.

Convinta della qualità tattile della lingua parlata, la considera un’entità che si può toccare sentire modellare animare incontrare, che non serve solo a rappresentare e mediare la realtà, ma a substanziarla.

Nel corso del XX secolo molti artisti, tra cui gli autori del teatro d’avanguardia Julian Beck e Judith Malina, hanno indicato in Gertrude Stein la loro diretta ispiratrice.

John Cage aveva individuato in Gertrude Stein, per l’assenza di trama e di sequenzialità narrativa, la presenza di tre elementi portanti dell’Hip Hop: l’oralità del testo, la non consequenzialità logica, e l’esaltazione del significante.

Quattro Santi in Tre Atti

Gertrude Stein scrisse il libretto di Quattro Santi in tre atti su richiesta del compositore Virgil Thomson. Doveva essere un’opera sulla vita e la condizione degli artisti. Come si arrivò dunque ai santi di Spagna?

Semplicemente perché per la Stein la condizione degli artisti totalmente dediti alla loro arte corrisponde in pieno alla vita dei santi, la purezza della devozione dell’artista nei confronti dell’arte riflette lo stato della vita religiosa, gli artisti e gli scrittori esprimono la spiritualità contemporanea.

Andò in scena nel 1934 a Broadway (sei anni dopo essere stato scritto!) con un successo senza precedenti, con un cast tutto di colore, altro aspetto senza precedenti.

Una studiosa della Stein, Jean E. Mills, sostiene che Gertrude non poteva avvalersi della tecnologia dei rappers odierni, tuttavia raggiunge effetti simili allo scratching in tutta l’opera Quattro Santi attraverso l’uso delle parole e la loro collocazione in termini di spazio e tempo, simile al collage, allo scratch, alla citazione, al backspin dei rappers di oggi.

Si raccomanda dunque di accostarsi al testo con il senso della sorpresa e della meraviglia e di “prepararsi alla sorpresa” in modo simile a come la Stein stessa raccomanda di “prepararsi ai santi”: con spirito mistico ma anche irriducibilmente laico, gaudente ed

estatico, sofferto e divertito, con un’iconoclastia ironica ma anche con profondo rispetto, perché sorpresa, piacere e santità sono tutti coniugabili in un unico inclusivo senso della pienezza esistenziale, un godimento che si trasformi in comprensione a scapito delle norme patriarcali.

Tutto si mescola gioiosamente nella mente che prima accoglie e poi seleziona la propria esperienza: può scaturire un guizzo dell’anima, un motto di spirito, dall’alchimia verbale procurata da due elementi fino a quel punto mai accostati, o dal santo vero accanto al santo inventato: Santa Sistemazione, San Piano, San Paolo Prensile… presenze inquietanti, disturbanti, sollecitanti appaiono nel testo, ma anche lo stuolo di amici scrittori, vicini di casa, ospiti stranieri con cui la Stein amava intrattenersi…

Traduzioni e studi in Italia

Si sono occupate di Gertrude Stein in Italia Nadia Fusini nell’introduzione all’edizione italiana di Tender Buttons, Teneri Bottoni, Giulia Niccolai presentando La storia geografica dell’America, e Caterina Ricciardi nella prefazione a Conferenze americane. Cesare Pavese curò per Einaudi l’ Autobiografia di Alice Toklas.

Giorgio Monicelli, Fernanda Pivano, Barbara Lanati, Marina Camboni, Mena Mitrano con studi e approfondimenti hanno consentito una conoscenza e un apprezzamento della difficile produzione steiniana.

Tutte le note critiche di questa presentazione sono un estratto elaborato dall’introduzione a Opere ultime e Drammi a cura di Marina Morbiducci, che è anche traduttrice del testo Quattro Santi in Tre Atti.