Di: Sergio Palumbo
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La stagione 2015/2016 del Teatro San Ferdinando è all’insegna delle rivisitazioni e degli adattamenti di grandi testi teatrali: dopo “C’è del pianto in queste lacrime”, per la regia di Antonio Latella, la “Filumena Marturano” con Nello Mascia e Gloriana, “Dalla parte di Zeno” di Valeria Parrella e lo shakespeariano “Sogno di una notte di mezz’estate” rielaborato da Ruggero Cappuccio, è il turno del “Pigmalione” di George Bernard Shaw, nella traduzione di Manlio Santanelli, prodotto dal Teatro Stabile di Napoli.
La storia della fioraia Eliza Doolittle, che il professore di fonetica Henry Higgins istruisce e trasforma fino a farla sembrare una raffinata donna dell’alta società per vincere una scommessa con il colonnello Pickering, viene “traslocata” a Napoli da Santanelli, che ribattezza i personaggi come Luisa Diodato (la fioraia), Ermete Puoti (Higgins) e Vincenzo Maffei (Pickering), condensando in due atti i cinque del testo di Shaw.
Le invenzioni linguistiche di Santanelli sono la vera chicca di questa rappresentazione: la “cucciola di vajassa” Luisa e suo padre Gaetano Diodato (l’Alfred Doolittle del testo di Shaw) si esprimono in un improbabile incrocio linguistico tra idioma e dialetto napoletano, dando vita ad uno slang gustoso, con ibridi di parole colte e vocaboli plebei, che risulta particolarmente comico. La traduzione di Santanelli mantiene comunque una profonda fedeltà al testo originario di Shaw, soprattutto nel finale, che non indulge in edulcoramenti alla “My fair lady”, cui comunque ogni tanto si ammicca durante la rappresentazione (“La rana in Spagna gracida in campagna”).
La regia di Benedetto Sicca è abile nel calibrare i ritmi dei dialoghi, che risultano serrati quanto basta per catalizzare l’attenzione del pubblico per tutta la durata dello spettacolo, che con l’intervallo giunge quasi fino a tre ore, senza mai risultare lento o stancante. Di converso, non convince la scelta di calcare troppo la mano sui personaggi secondari, a partire dall’inverosimile Nepommuck interpretato da una donna (la pur brava Francesca De Nicolais), passando per i membri della famiglia Giliberti, che, nel riassumere in sé i tic della borghesia, risultano eccessivamente sopra le righe. Il talento degli attori sembra sacrificato da questa scelta registica ed è un vero peccato, perché tutti gli interpreti fanno intuire ottime doti attoriali. Tra i personaggi secondari riusciti meglio c’è senz’altro la signora Verdiani di Antonella Stefanucci, che però risulta troppo simile (anche nell’abbigliamento), alla madre del professor Puoti, interpretato dalla stessa Stefanucci, tanto da renderle difficilmente distinguibili. Molto buona, scelte registiche a parte, anche l’interpretazione di Autilia Ranieri nel ruolo di Elide Giliberti. Non mancano, comunque, delle buone trovate registiche, come il senso di disfacimento che aleggia nel secondo atto, con blocchi di ghiaccio in lento scongelamento al posto dei bei mobili trasparenti del primo atto (un particolare plauso va alle scene di Maria Paola di Francesco) e lo sfondo che sembra quasi sciogliersi. Efficace l’idea di far sottolineare i momenti più concitati o quelli più emozionanti dalle note del violino ben suonato dal vivo da Riccardo Zamuner, su spartito sapientemente congegnato da Chiara Mallozzi.
I tre personaggi principali (Luisa, il professor Puoti ed il colonnello Maffei) sono decisamente molto meglio delineati e gli attori possono esprimere il meglio di sé. Pregevole l’interpretazione di Gaia Aprea nel ruolo di Luisa, che riesce a rendere perfettamente la metamorfosi del suo personaggio, fino all’irresistibile finale, in cui canta e urla tutta la sua determinazione. Bravissimi e ben affiatati anche Paolo Serra, un professor Puoti energico, rabbioso e cinico quanto basta, e Fabio Cocifoglia, convincente nel ruolo del colonnello Maffei.
“Pigmalione” sarà in scena al Teatro San Ferdinando di Napoli fino al 20 marzo 2016.
Link: il sito del Teatro Stabile di Napoli – http://www.teatrostabilenapoli.it/
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