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Giovedì 18 febbraio 2016, Teatro Elicantropo di Napoli
Conversazione con la morte di Giovanni Testori
Antonio Ferrante porta in scena un testo di alta poesia, una confessione in pubblico ridotta alla propria essenza, un cantico sulla morte e un invito a ripensare alla vita
Sarà in scena da giovedì 18 febbraio 2016 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 21), al Teatro Elicantropo di Napoli, lo spettacolo Conversazione con la morte di Giovanni Testori, diretto e interpretato da Antonio Ferrante, coadiuvato nell’allestimento da Maria Palumbo e dalle selezioni musicali di Massimo Arcidiacono.
Conversazione con la morte, scritto nel 1978, coincide con la conversione di Testori alla religione cattolica. Racconta di un attore che ricorda il proprio passato sulle grandi scene e riflette sulla caducità di ogni azione umana: la morte della mamma che apre una speranza futura per essere accolto anche lui nell’aldilà, l’amore giovanile per una compagna di lavoro e riflessioni che s’intrecciano al dato biografico della conversione dell’autore.
Antonio Ferrante lo ripropone in scena, dopo aver raggiunto la maturità e l’esperienza per una prova di teatro evento su uno dei più importanti drammaturghi contemporanei.
Conversazione con la morte è un incontro intimo e prossimo con gli spettatori, per un testo di grande forza drammatica, fra i più espressivi della scrittura multiforme di Giovanni Testori: scrittore, drammaturgo, pittore, critico d’arte, poeta, regista, attore, uno dei più importanti intellettuali italiani del Novecento.
Alla base del testo vi è un vissuto biografico forte, che conduce l’autore a calarsi nei panni di una voce monologante. Il narratore è un vecchio autore-attore quasi cieco, segnato dalla morte della madre e da quella dell’amico discepolo. Il testo è pensato come il suo ultimo monologo, detto dal sottoscala, dalle assi del teatro, collocandosi tra spiritualità e cultura, testimonianza e letteratura, preghiera e insegnamento.
«Questa mia regia – scrive Antonio Ferrante in una nota – questa composizione parte da una suggestione che m’intriga molto: la vicenda dell’attore che ritorna nella casa-teatro, dove ha mosso i primi passi in scena agli inizi della sua carriera teatrale. La confessione pubblica del vecchio attore racconta la sua vita professionale e privata, dando valore alla parola drammaturgica nella forma del monologo, che per Testori è il nucleo del teatro tragico».
La forma dell’oratorio, narrazione senza scena e senza azione, riduce la scenografia a pochi elementi, utili a dipanare la vicenda, e brevi pause musicali dal grande impatto emotivo.
Il testo originale è pieno di virate verso una grande religiosità, marcatamente cattolica. Antonio Ferrante ha tentato di farne un adattamento laico, ma le sue punte religiose esplodono, nonostante tutto.
Conversazione con la morte ha la forza di un miracle-play medioevale, ma esprime un concetto fondamentale che appartiene anche alle religioni orientali: la morte non è annullamento ma inizio di una nuova vita, nella pienezza dell’essere.
Conversazione con la morte di Giovanni Testori
Napoli, Teatro Elicantropo – dal 18 al 21 febbraio 2016
Inizio delle rappresentazioni ore 21.00 (dal giovedì al sabato), ore 18.00 (domenica)
Info al 3491925942 (mattina), 081296640 (pomeriggio) email promozionelicantropo@libero.it
Da giovedì 18 a domenica 21 febbraio 2016
Napoli, Teatro Elicantropo
(da giovedì a sabato ore 21.00, domenica ore 18.00)
Antonio Ferrante e Love and Creativity
presentano
Conversazione con la morte
di Giovanni Testori
diretto ed interpretato da Antonio Ferrante
allestimento Maria Palumbo, ricerche Antonio Ferrante
selezioni musicali Massimo Arcidiacono, foto e video Nina Borrelli
assistente alla regia Flavia Mazza
si ringrazia Loredana Martino
durata della rappresentazione 60’ circa, senza intervallo
Per Conversazione con la morte l’autore si ispira alla forma dell’oratorio e lo rimodella. L’oratorio è spettacolo severo senza scena e senza azione. E’ in parte narrazione e in parte rappresentazione auditiva di un fatto biblico, con meditazioni morali per solo coro e semplice accompagnamento musicale.
In Edipus, la veemenza oratoria, la rabbia stridente si spegneva nella vertigine del nulla, i passi colloquiali e narrativi della conversazione con la morte la sollevano nella trasparenza dell’Essere. La morte non è annullamento ma promessa di pienezza dell’essere.
Conversazione con la morte era stata pensata da Testori per Renzo Ricci.
“Un attore – che secondo Testori – non era più attore, che non recitava più per l’età avanzata, un attore talmente attore da non esserlo più”.
Ricci muore nell’estate del 1978 e Testori decide di leggerla lui che non è attore e non sa recitare. Il 7 novembre 1978 al teatro Pier Lombardo Testori legge davanti a una folla impressionante, con la voce scura e dolorosa senza variazioni di tono, con emozione e concentrazione ed evidente commozione.
“E’ riuscito in questo modo a fare teatro, il più semplice e il più puro, senza concedere nulla al pubblico, come l’inizio un’ovazione”. Così Roberto Monicelli su Il Corriere della sera del 9 novembre 1978.
E su Il Giorno Giancarlo Vigorelli scrive: “Mai visti tanti giovani ad uno spettacolo teatrale. Che oltre tutto spettacolo non era. Palcoscenico nudo. Una sedia un microfono”.
Luigi Brioschi nella postfazione all’edizione Bur del testo (pubblicata nel 1979) mette in rilievo il significato simbolico di quella lettura come se la parola, appunto, acquistasse altro senso diventasse altro suono.
Nel 1984, alla Sala Assoli del teatro Nuovo di Napoli, Antonio Ferrante legge Conversazione. Il 3 maggio 1989 Conversazione con la morte viene rappresentata al Piccolo di Milano da Tino Carraro, con la regia di Lamberto Puggelli.
Il vecchio attore si mette in esame lui stesso con dolcezza, tenerezza, ed alto magistero. Conversazione occupa lo spazio tra teatro e liturgia.
Un’idea di rinascita teatrale
Che il teatro non diventi astrazione ma capanna e rinascita.
Natale, è fare che ogni giorno, ogni minuto, ogni parola che dici, ogni gesto che compi, tutto quello che fai si muovi diventa Natale, annuncio, notizia. Questo è il momento della grande speranza.
Note di regia
Quando la crisi tocca il fondo è il momento della rinascita. Ho riconosciuto nelle opere di Testori un momento necessario nella cultura italiana, tutta spostata verso un razionalismo privo di luci, di sentimento, di spinta, che tende ad una ricomposizione tra nascita, morte e resurrezione.
Conversazione con la morte segna per Testori un momento di rinascita, una conversione, un percorso di verità e di speranza, la via verso il Padre.
Testori sembra che evangelicamente dica: “ Rinasciamo come uomini, come figli, come famiglie, come gruppo sociale”. Riportiamo la cultura verso l’uomo e sganciamola dalle aride astrazioni. Più passione e sentimento e meno razionalità”.
Questa mia regia, meglio questa composizione parte da una suggestione che mi intriga molto: la vicenda dell’attore che ritorna nella casa-teatro dove ha mosso i primi passi in scena agli inizi della sua carriera teatrale.
La confessione pubblica del vecchio attore racconta la sua vita professionale e privata, dando senso alla parola drammaturgica nella forma del monologo, che per Testori è il nucleo del teatro tragico.
La forma dell’oratorio, narrazione senza scena e senza azione, mi ha consentito di ridurre al minimo l’apparato scenico. Pochi elementi mi sono serviti per dipanare la vicenda, con delle pause musicali di grande impatto emotivo.
Il testo originale è pieno di virate verso una grande religiosità, marcatamente cattolica. Ho cercato di farne un adattamento laico, ma le sue punte religiose esplodono, nonostante tutto.
Conversazione con la morte ha la forza di un miracle-play medioevale, ma esprime un concetto di fondo che appartiene anche alle religioni orientali: la morte non è annullamento ma inizio di una nuova vita, nella pienezza dell’essere.
Un testo di alta poesia che mi ha coinvolto non poco, in cui mi sono sfidato come attore, aiutato dal credo e dalle note sulla recitazione del grande Giovanni Testori esposte nel suo saggio “Il Ventre del teatro” (Rivista Paragone 4 – 2 – 19 giugno 1969).
Antonio Ferrante
Conversazione con la morte di Giovanni Testori (1978)
Nel luglio del 1977 muore la madre di Testori. Lina Paracchia, alla quale è legato da amore filiale e per una forte corrispondenza spirituale. La morte della madre gli apre una dimensione di speranza; gli permette di accettare la nascita e l’incarnazione. Cosi tra agosto e dicembre 1977 scrive Conversazione con la morte in cui rilegge il senso della morte alla luce dell’esperienza umana della madre.
20 dicembre 1978 – Il Settimanale, “Vedendola morire tra le mie braccia con tanta serenità ho capito che la morte non interrompe il filo della vita. La sua morte mi ha dato la coscienza e la pazienza, l’amore, la luce, la ragione, la pazienza di esistere”.
Il testo vuole liquidare una falsa concezione della vita ma anche il recupero della parola nella sua primordiale purezza.
Conversazione con la morte si presenta come una confessione in pubblico ridotta alla propria essenza tanto da identificarsi con la bocca del poeta che pronuncia le parole della sua visione e con essa Testori lancia un messaggio che è un monito, un cantico sulla morte e un invito a ripensare alla vita nei suoi giorni e fini.
Il 4 novembre 1978 ne Il Sabato Testori dice: “In questa conversazione parla l’attore che ha lasciato il teatro e parla da un luogo che è il teatro e da questo luogo caverna dove vive che è tutto o niente, quest’attore cerca di reinventare una dimensione drammaturgica della parola riducendo il dramma quasi a nulla”.
Note da Il ventre del teatro (saggio di Giovanni Testori)
Il luogo del teatro non è scenico ma verbale e risiede in una specifica qualità carnale e motoria della parola.
La parola del teatro è prima di tutto orrendamente fisiologica, sacra, religiosa
Ritengo che il monologo sia la forma più alta di tutto il teatro, tutto il teatro tragico è in fondo un monologo a più voci. Il punto di partenza del teatro è il personaggio solo il personaggio monologante.
Il monologo non farà altro che incrudelire ed esacerbare la situazione viscerale prenatale di un personaggio come si trova in un determinato momento della sua esistenza.
Una qualità di carne e di moto – a strappi, a grida, a spurghi, a urli – una qualità blasfema interna alla parola teatrale.
Il luogo del teatro è il corpo dell’uomo: (Dalla rivista Paragone n°219 giugno 1969).
Note introduttive di Giovanni Raboni
Il lavoro dell’attore si incentrava sulla capacità di seguire la parola, di lasciare che essa
prendesse progressivamente spazio in lui.
E’ essenziale che ci sia qualcuno che ha la necessità di pronunciarla; qualcuno che salga
sul palcoscenico per testimoniare con la sua presenza; di fronte a tutti, il legame che vive
con il testo.
Non recitare, ma vivere in prima persona l’azione che il testo esprime.
L’azione si costruisce sulla persona dell’attore.
L’attore non può far finta di essere un altro, una situazione in cui immedesimarsi ma
deve offrire se stesso come punto di partenza come luogo su cui costruire l’azione.
Qui la realtà s’incarna nell’uomo.
La parola assume una posizione centrale e origina una comunione d’intenti tra autore,
attore e/o compagnia, pubblico.
Antonio Ferrante
nato a Reggio Calabria di formazione teatrale napoletana si diploma al Circolo Artistico Politecnico di Napoli con Davide Giunti allievo di Luigi Cimara.
Avviato al teatro dall’attore Rino Genovese, completa la sua preparazione con Piero Artesi della Rai di Napoli, il poeta Davide Maria Moriconi, il regista Oreste Redi. Lavora al San Ferdinando con attori della grande tradizione di teatro napoletano da Isa Danieli, Ugo D’Alessio, Pietro De Vico, Gennarino Palumbo, Giuseppe Anatrelli. Con Mario e Maria Luisa Santella e la compagnia Alfred Jarry recita in testi d’avanguardia. Presenta poi da regista dal 1972 al 1986 novità di autori quali R. Pinget, E. Jonesco. S. Beckett.
Fonda e dirige a Napoli il Teatro Laboratorio Mobile compagnia di formazione e ricerca. Conduce attività di laboratorio e seminariale. Lavora con Jerkovic, Stuhr, con Mario Scaccia, Maria Rigillo, Lina Sastri, Ida Di Benedetto, A. Reggiani. Insegna all’Accademia del teatro Bellini di Napoli, all’accademia Scharoff di Roma. Pubblica manuali per la formazione, lavora in televisione e nel cinema con M. Monicelli, M. Missiroli, A. Calenda, C. Augias, B. Cino, D. Damiani, M. Mattolini. Ora lavora su testi di grandi poeti e predilige un teatro di ricerca.
Giovanni Testori
nasce il 12 maggio 1923 a Novate Milanese, muore a Milano all’Ospedale S. Raffaele il 16 marzo 1993.
I primi testi teatrali sono datati al 1943 e nello stesso anno inizia la sua attività di pittore.
1947 Si laurea in lettere e filosofia all’Università Cattolica di Milano seguono altri testi teatrali, Caterina di Dio e le Lombarde.
1954 Il primo romanzo Il Dio di Roserio
1958 I racconti Il ponte di Ghisolfa e nel 1959 La Gilda di Mac Mahon
1960/1969 Maria Brasca, Arialda, La Monaca di Monza, Erodiade
1972/1975/1977 La compagnia di Franco Parenti Ambleto, Macbetto, Oedipus: La trilogia degli Scarrozzanti.
1977/1981 Inizia la composizione della seconda trilogia che comprende Conversazione con la morte, Interrogatorio a Maria, Factum est.
1983 Pest Hamlet. Nel 1985 I promessi sposi alla prova
1986 Confiteor. Nel 1987 rilegge Alfieri mettendo in scena Filippo e Oreste.
Dal 1988 al 1990 abbiamo i testi dedicati a Franco Brancinoli che vanno sotto il nome di Branchitrilogia che vanno sotto il nome di Sfaust, Solisore’, Verbò. E nel 1992 scrive i Tre Lai: Cleopatras. Erodias, Mater Strangoscias pubblicati postumi nel 1994.
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