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Quale profonda ingiustizia possa annidarsi nella precisa applicazione della legge, quanta disumanità possa provocare il distacco tra la forma e la sostanza della norma è tema centrale de “Il mercante di Venezia”, intramontabile opera di Shakespeare, tanto quanto quello della “diversità” incarnata dall’ebreo Shylock, che ha avuto però maggiore attenzione nel corso dei secoli tanto da fare scattare l’accusa di antisemitismo nei confronti di una delle commedie più note e fortunate del grande drammaturgo inglese. Commedia portata in scena dalla Popular Shakespeare Kompany al Teatro Bellini di Napoli fino al 16 novembre 2014, con la partecipazione di Silvio Orlando nei panni del “giudeo” preso di mira dal resto della compagnia, prima, per il suo essere dedito all’usura, poi per la sua caparbietà nel voler vedere onorato il contratto sottoscritto con Antonio. A tutti i costi. Antonio, il mercante del titolo dell’opera, ha fatto da garante a Bassanio, squattrinato e sempre indebitato che vuole conquistare il cuore della bella Porzia. Anche lui, Bassanio, dovrà sottoporsi alla strana riffa che il padre (defunto) di lei ha inventato per scegliere colui che potrà sposare la ragazza: scegliere tra tre scrigni, uno d’oro, l’altro d’argento e l’ultimo di piombo. Solo chi opterà per quello giusto potrà convolare a giuste nozze. Nonostante il “giogo” riguarderà anche lui, Bassanio vuole prima impressionare la bella. Chiede il prestito all’amico Antonio che, a sua volta, avendo tutte le sue merci per mare in mezzo mondo, si rivolge all’odiato ebreo. Nessun interesse sulla restituzione del denaro, ma una penale stramba e che, alla fine, si rivolterà contro Shylock: se i tremila ducati non saranno restituiti, l’usuraio avrà una libbra di carne del suo debitore.
Valerio Binasco rilegge la trama shakespeariana, come spiega lui stesso nelle note di regia, come lo scontro tra un “tutti”, un gruppo di persone fatue, e l’uno, l’ebreo serio e irremovibile. I due atti scorrono veloci, su una indovinata e scarna scenografia di Carlo de Marino. Volutamente caricati sono, invece, i personaggi: non nei costumi (forse eccezion fatta per Porzia vestita come una Barbie), ma negli accenti scelti per caratterizzarli. La bravura del regista e degli attori (Silvio Orlando su tutti) sta nel non far scadere questo caricare in caricatura, così che lo spettatore possa assistere a una rilettura frizzante e coinvolgente di un’opera intramontabile.
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