Di: Alessandra Staiano e Sergio Palumbo
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Leggero e profondo. Arrabbiato e divertito. Ossequioso e dissacrante. E’ così Peppe Voltarelli sul palco di Galleria Toledo a Napoli nel suo tour “Il viaggio, i Padri e l’Appartenenza”, in scena fino a domenica 4 dicembre 2011 nel teatro d’innovazione in via Concezione a Montecalvario. E se qualcuno crede che in questo gioco di contraddizioni ci sia il rischio di troppe stonature, deve venire ad ascoltarlo Voltarelli (vincitore del Premio Tenco 2010 nella categoria dischi in dialetto): scoprirà che l’artista calabrese è riuscito a costruire un concerto per voce e chitarra in cui le canzoni tracciano un percorso preciso anche grazie agli aneddoti che Peppe racconta dal palco. Per raccontare di come e quando quel pezzo, proprio quel pezzo lì, sia stato ampliato. Lo fa, ad esempio, per “Onda calabra” – canzone dei tempi del gruppo “Il parto delle Nuvole Pesanti”. Basterebbe che Voltarelli indugiasse un po’ in più nel racconto divertente e ci ritroveremmo davanti qualcosa di molto simile a una macchietta. E invece no: Voltarelli si ferma al momento giusto, le sue parole narrate danno leggerezza alla profondità di quelle cantate. Leggero e profondo.
Canta in dialetto calabrese Voltarelli: la lingua che gli sale dalle viscere e che butta fuori con forza anche se si tratta di un ritornello fatto tutto di onomatopee. Come se pure lì ci stesse dentro la rabbia di chi se n’è dovuto e se n’è voluto andare dalla sua terra, ma solo dopo un lungo viaggio è riuscito a fare pace con le radici al punto tale da riuscire a prenderle in giro. Arrabbiato e divertito.
Molti i brani tratti dall’ultimo album Ultima notte a Malà Strana: Fiore ca balla, Abbandonarsi, Sta città, Canto mo e Iamavanti, che conclude il concerto. Dal primo album solista, Distratto ma però, Voltarelli esegue Aria, mentre dal repertorio del Parto delle Nuvole Pesanti oltre ad Onda Calabra c’è anche la Tarantella del Trionto. Ma non solo: da Sergio Endrigo a Renato Carosone, Peppe Voltarelli rende omaggio a quelli che considera “padri”, vale a dire gli artisti che ha sentito più vicini nella sua formazione artistica. Da solo sul palco, oltre alla sua voce potente non gli serve altro che una chitarra o la fedele fisarmonica, semmai con qualche colpo di piede al tamburello, per coinvolgere ed emozionare il pubblico in un’atmosfera intimamente chiaroscura. E intanto pesca dal baule della memoria una serie di suoni, voci, frasi che chiunque sia nato al Sud ha sentito: dai mercati rionali alle raccomandazioni di madri e nonne. L’effetto è, in alcuni tratti, comico. Ossequioso e dissacrante.
Voltarelli fa il suo viaggio da solo: sul palco, a fargli compagnia e a permettergli di accompagnare gli spettatori, ci sono la chitarra e la fisarmonica. Bastano per partire dalle radici (in questo caso calabresi), fare il giro di mezzo mondo (almeno con la fantasia) e tornare indietro. Il migliore viaggio, per chi non lo avesse ancora scoperto.
Peppe Voltarelli sarà a Napoli, alla Galleria Toledo, fino al 4 dicembre 2011 per quattro concerti, tutti alle 21:00, tranne quello di domenica, previsto per le 18:00. Per informazioni: www.galleriatoledo.org
Abbiamo intervistato Peppe Voltarelli al termine del primo dei quattro concerti napoletani.
Peppe, un artista calabrese che canta in dialetto e fa quattro concerti di fila a Napoli. Che effetto fa?
“Un bell’effetto. Napoli mi accoglie sempre molto bene. Dal 2008, da quando cioè canto da solo, sono venuto parecchie volte e ogni volta l’accoglienza del pubblico è stata calda. Prima, col gruppo, avremo cantato al massimo due volte in questa città. Eravamo andati magari in provincia, a Salerno, a Benevento. Eravamo sempre in giro, suonavamo 100 serate all’anno, ma a Napoli non venivamo quasi mai. Questa è una città che intimorisce per la sua stratificazione artistica e culturale…”.
Ora lo hai superato questo timore…
“Sì e ne sono contento. Perché penso che cantare qui mi abbia aiutato anche a crescere, a non rimanere un meridionale periferico”.
In “Sta città” canti “quant’è bella, quant’è forte, quant’è storta ‘sta città”. Sembra che tu stia parlando di qualsiasi città del nostro sud. Per quale l’hai scritta?
“Pensa che quel pezzo l’ho scritto quando ero a Roma. Cantandolo in giro per l’Italia mi sono accorto che poteva andare bene dappertutto: a Bologna, a Torino, al sud. Più che da una città, l’ispirazione viene da quel sentimento di rabbia che ti fa sentire stretto il posto dove sei nato e cresciuto e dal legame che resta e che riesci a raccontare solo quando sei lontano”.
Hai intitolato il tuo tour “Il Viaggio, i Padri e l’Appartenenza”. Tre elementi importanti: descrivimeli ognuno con una sola parola…
“Le fermate, le mamme…”
Perché?
“Le dissociazioni a volte servono”.
Ringraziamo la On The Road Agency per averci concesso la possibilità di essere presenti a questo evento.
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