Di: Sergio Palumbo
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Gaetano Amato, attore e scrittore, imbastisce una favola gentile e la anima coi colori e i sapori della sua Napoli, una città dove tutto può accadere e il reale e il fantastico sfumano continuamente l’uno nell’altro. Per le sue strade, gli scugnizzi che giocano al pallone sognando di diventare dei novelli Ronaldo possono incontrare la Morte e la macabra vecchia può restarne giocata, una volta tanto diventando, da spietata esecutrice, vittima. La vecchietta che se ne sta seduta sull’uscio di casa col rosario in mano ed è la “zì Teresa” di tutti quelli che hanno bisogno di lei potrà parlare a tu per tu col Padreterno e farsi ascoltare nel suo pittoresco vernacolo, con la disinvolta confidenza con cui in vita apostrofava la foto del defunto marito. Gli angeli possono avere il volto di un austero farmacista che, invece delle indicazioni relative a un farmaco, distribuisce i numeri della cinquina vincente per salvare un poveretto dalla disperazione che lo spingerebbe al suicidio.
Bene e male, dolori e gioie, sogno e realtà: la povera vita di povera gente che sembra appartenere ormai a un mondo sopravvissuto solo nella memoria, ma in cui l’autore ha rappresentato l’essenza di una ideale napoletanità forse ormai estinta o forse solo vagheggiata dai suoi nostalgici cantori. Tuttavia la prosa nitida e accurata di Amato, anche là dove indulge al gergo dialettale, è aliena da sbavature sentimentali di maniera. L’autore ci conduce per mano in un suo luogo e in un suo tempo metastorici con il garbo sereno di una guida che non pretende di indagare verità occulte, ma vuole farci compagnia per i vicoli della sua Napoli, immaginaria e pure così autentica quale metafora di un modo di essere al mondo che forse abbiamo dimenticato, ma che è bello ritrovare per un attimo nella fantasia di uno scrittore.
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