Di: Emiliano Bedini
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Tra le varie opere – letterarie e non – che si pongono sulla scia del celeberrimo “Gomorra” di Roberto Saviano, “L’impero della camorra” del giovane giornalista Simone Di Meo merita certamente attenzione, sia per la vivida e scorrevole prosa che rende difficile al lettore staccare gli occhi dal racconto, sia perché l’attenzione è focalizzata su uno dei più potenti e interessanti personaggi della recente storia della camorra. Infatti, come si legge nel sottotitolo, il libro tratta della “vita violenta del boss Paolo di Lauro”, meglio conosciuto col soprannome di “Ciruzzo ‘o milionario”, a capo di un impero ricchissimo fondato sul traffico della droga e fulcro della guerra di camorra che ha insanguinato la periferia Nord di Napoli tra il 2004 e il 2005. Tuttavia il libro non ricostruisce le vicende di questa lunghissima faida, ma ripercorre le tappe principali della scalata al potere camorristico di Di Lauro, da quando nei lontani anni ’80 girava l’Italia e l’Europa come “magliaro” – il venditore porta a porta della merce contraffatta prodotta dalla camorra – fino al “giorno prima” dello scoppio della guerra di Scampia. Il merito di Di Meo sta soprattutto nella capacità di mettere a fuoco, e di restituire al lettore in tutta la sua drammatica verità, la grande novità che Di Lauro ha rappresentato nella storia della camorra: un boss dalle capacità imprenditoriali straordinarie, attento sempre e soprattutto agli investimenti dei capitali procacciati con il traffico di droga, investimenti che si allargano addirittura a tutto il pianeta, quasi sempre “ripuliti” in insospettabili imprese perfettamente legali. Con Di Lauro la camorra si trasforma definitivamente da semplice malavita in vera e propria imprenditoria criminale.
Di Meo fornisce a piene mani dati e numeri sul fenomeno Di Lauro: la sua attività di giornalista chiaramente lo aiuta in questo ma non gli impedisce di mantenere una scrittura appassionata, a tratti romanzata, che rende fluida e scorrevole la lettura, pur attenendosi in modo fedele ai fatti. Un’ultima nota per la copertina: il pesce che vi compare forse vuole rappresentare il baluardo degli uomini coraggiosi contro lo strapotere della malavita. Di Lauro infatti fu tradito proprio dal suo debole per le “pezzogne”: gli venivano acquistate, durante la lunga latitanza, dal pescivendolo vicino alla casa di Secondigliano dove viveva e dove le forze dell’ordine riuscirono, proprio grazie al pesce, prima a localizzarlo e poi a catturarlo.
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