Di: Sergio Palumbo

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Birglar è un paesino della Renania dove la vita ha i ritmi lenti e monotoni della provincia, con i suoi personaggi anonimi o grotteschi e le loro storie di quotidiana banalità. Il processo che qui si celebra pare anch’esso di sconcertante banalità: un giovane, durante il periodo di leva, al termine di un viaggio di servizio ha dato fuoco all’automezzo militare con l’ausilio del proprio padre. Non ci sarebbe motivo di stupore se il gesto avesse avuto una motivazione plausibile, di lucro o di altro intento criminale. Ma i due, peraltro rei serenamente confessi, sono noti a tutti per onestà e trasparenza morale, come attestano tutti i compaesani chiamati a testimoniare. Tra questi pittoreschi personaggi, magistralmente resi con i loro tic e le loro piccole manie, c’è il vecchio parroco al quale non sfugge la “ratio” ultima dell’accaduto, che egli espone con la calda condivisione di un uomo di chiesa superiore ad ogni bigottismo conformista. Ma questa e altre simili testimonianze non sono gradite in alto loco, dove invece si vuole minimizzare il caso e chiuderlo al più presto possibile, senza infierire sui colpevoli. Perché? Perché indagare sul gesto dei due – compiuto non a caso cantando e brindando, per cui uno strano perito parlerà dell’incendio effettuato come opera d’arte pentamusale, poiché coinvolgerebbe architettura, scultura, letteratura, musica e danza – significa esplicitarne il senso liberatorio e simbolico nei confronti dell’assurda insensatezza della vita militare, che isterilisce ogni idealità e stimolo creativo e infine annichilisce la personalità. Così due geniali nobilieri (tali sono padre e figlio), già costretti ad avvilire la propria creatività per colpa di un’esosa e spietata fiscalità, sperimentano nell’Esercito la più grave mortificazione della propria professionalità e dignità. Basti pensare che i “viaggi di servizio”, cui il giovane è costretto, servono solo a raggiungere il chilometraggio prescritto perché il mezzo si presenti in regola all’ispezione di rito, con insensato dispendio di energie e pubblico denaro. Inutile dire che il processo si concluderà tranquillamente, con una condanna poco più che simbolica, purché non si faccia chiasso. La forte carica polemica implicita nella vicenda contrasta con l’ostentata bonomia, talora perfino frivola, del tono narrativo e da ciò scaturisce la tagliente ironia del romanzo, che bolla implacabilmente ogni fanatismo e formalismo istituzionale, che spengono ogni libera espressione dell’umano.

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