Di: Sergio Palumbo
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Le pagine iniziali del romanzo sembrerebbero preannunciare una vicenda truculenta, sulla falsariga di tanti thriller oggi di moda, ma poi il contesto smentisce tale previsione, perché il giallo della Larsson non è giocato sul frenetico susseguirsi di colpi di scena e nel grado di atrocità delle vicende narrate. Al tempo stesso, la protagonista è ben lontana dalle brillanti detective in gonnella di molta narrativa del genere. Rebecka infatti, giovanissima dipendente di uno studio legale, non ha la grinta del segugio né la smaliziata duttilità dell’avvocato di grido. Al contrario, ha più la natura della vittima predestinata, perché la sua estrema sensibilità la rende vulnerabile e soggetta ai colpi della perfidia e della follia. Dopo vicende che l’hanno profondamente segnata, Rebecka torna nel suo paese, dove un delitto efferato ha stroncato l’esistenza di una donna, pastore della chiesa locale. Dotata di forte personalità e agguerrita femminista, costei ha suscitato molti malumori tra i maschi della parrocchia, per cui la sua uccisione particolarmente brutale potrebbe avere tanti possibili moventi, non escluso quello passionale. Ma Rebecka non è lì per indagare e solo la tenerezza che suscita in lei un adolecente portatore di handicap la coinvolgerà suo malgrado nella vicenda, fin quasi ad essere anche lei vittima della follia omicida. Il romanzo non è un giallo d’azione, ma piuttosto di atmosfere: personaggi ed eventi sono immersi nella più ampia vita del paesaggio naturale, con il suo vasto respiro di boschi immensi, distese innevate, animali selvaggi, che ha qualcosa di religioso e sembra dominare tutti gli aspetti dell’esistenza singola. E’ questa atmosfera nordica – il romanzo è ambientato in Svezia – che esercita la maggiore suggestione sul lettore, creando quel senso del mistero unito all’attesa di una risposta che appartiene al giallo in senso stretto, ma è anche significativo di un più ampio sentimento problematico dell’esistenza.
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