Di: Sergio Palumbo
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Abellàn è un giudice, ma, pur essendo perciò deputato a valutare e condannare le umane debolezze, non ne è certo immune, come dimostrano, tra l’altro, le sue inclinazioni erotiche, che lo portano irresistibilmente verso le “povere ragazze”: spogliarelliste e prostitute. Ma ciò che lo rende degno della sua funzione che pone nelle sue mani il destino di tanti imputati, è il profondo disagio – che diventa spesso senso di colpa – di fronte al caso troppo facile, quando tutti gli elementi sembrano combaciare perfettamente. Abellàn non riesce ad accettare la soluzione che garba a tutti i colleghi, poliziotti e notabili del paese, specie se il colpevole designato è un balordo, un poveraccio così sbronzo al momento dell’omicidio da non ricordare nulla, tanto da convincersi lui stesso della propria colpevolezza. Il giudice invece non è convinto e arriverà a smascherare l’ipocrisia dei ricchi, che comprano l’impunità a suon di milioni e di pallottole, finendo per eliminare lo scomodo balordo quando non serve più come capro espiatorio, ma potrebbe diventare un pericoloso testimone. Andreu Martin insiste nel delineare atmosfere cupe, grondanti gelo e noia, in una provincia degradata e corrotta con una scrittura asciutta e senza eufemismi il cui retrogusto è di amara e disincantata ironia.
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