Di: Sergio Palumbo
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E’ molto difficile inquadrare in un genere circoscritto il testo di questo giovanissimo autore, anche se i vari racconti che lo compongono hanno notevoli somiglianze, dal momento che elementi di base ne sono sempre le memorie adolescenziali, l’ironia, il gusto del paradosso, l’anticonformismo linguistico.
Dietro situazioni in apparenza diverse ci sono i ricordi di un’adolescenza ancora vicina, con le sue tipiche componenti di difficoltà di inserimento, rapporto difficile con genitori e superiori, voglia di trasgressione ma anche di tenerezza, che fa timidamente capolino dietro l’ostentato cinismo dei giovanissimi. Il tutto è soffuso di un’ironia dolce-amara che diventa sberleffo. C’è poi la visione del mondo e della società con la precoce consapevolezza dei suoi aspetti paradossali, spesso inquietanti, nel gioco a incastro della sorte: consapevolezza che nasce certo da reale ansia di comprendere, ma non diventa mai senso tragico della vita, rientrando nel gusto del gioco e del “nonsense” che fa sorridere con un po’ d’amaro in bocca. Ma là dove l’autore si diverte a scandalizzare è nell’uso spregiudicato della trasgressione espressiva, sia nei costrutti sintattici che nella terminologia sboccata, certo assai vicina al gusto degli adolescenti.
Nel complesso, insomma, una lettura che diverte e suggersisce qualche riflessione sul mondo dei più giovani, ma anche, perché no, sul mondo “tout court”.
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